
La professoressa è attualmente preside della scuola secondaria di I grado “Giovanni XXIII” a Grumo Appula, ma per diversi anni è stata dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “Quasimodo-Melo da Bari”, scuola secondaria di I grado. L’abbiamo intervistata a proposito della sua esperienza come dirigente di una scuola nel nostro quartiere.
Concentrandoci sulla sua esperienza come dirigente scolastico nel quartiere Libertà, cosa pensa dell’influenza che questo ambiente, nel bene o nel male, esercita sugli alunni?
Credo che il territorio influisca in maniera molto pesante e determinante sulla crescita dei ragazzi. Il fatto che il quartiere Libertà sia considerato un quartiere “difficile” corrisponde alla realtà e molto spesso mi è toccato vedere ragazzi pieni di ottime potenzialità, che in altri contesti sarebbero stati ottimi alunni, che erano invece pesantemente condizionati dal fatto di avere un’educazione, una cultura di base, molto modesta, in alcuni casi molto bassa, per cui non riuscivano neppure a mettere a fuoco le proprie potenzialità, non riuscivano a utilizzarle come avrebbero dovuto. Situazioni come queste per noi insegnanti rappresentano una sfida. In questi casi la scuola deve riuscire ad intervenire e a dare dei ritmi diversi, dei modi diversi di pensare, una diversa impostazione e molto spesso ci rendiamo conto che abbiamo dei ragazzi che prendiamo a undici anni e perciò hanno già assorbito molto dal contesto in cui vivono e noi invece abbiamo solo 5 ore al giorno; non è facilissimo controbilanciare un’educazione che viene dal territorio e che è pesantemente supportata anche da un certo tipo di messaggio massmediatico. Le scelte che questi ragazzi fanno del palinsesto televisivo sono quelle del “Grande Fratello”, dei “tronisti”, di “Saranno Famosi” e quindi l’importanza che danno alla scuola è bassissima.
La scuola non è il luogo nel quale formarsi per accedere ad un livello culturale e sociale migliore; nei casi più difficili la scuola ha poco da dire, non ha appiglio e questo è un problema, è il nostro problema. I ragazzi non cercano il futuro nella scuola.
In questo contesto che ruolo ha la scuola?
Sapendo in partenza che non possiamo capovolgere il mondo, la scuola ha il ruolo di insegnare che c’è un modo diverso di pensare, di ragionare, che ci sono delle regole da rispettare; molte volte questi ragazzi non hanno mai avuto regole o le rifiutano e quindi sono indisciplinati dentro, non è solo un fatto formale, parlo del non avere un codice, una disciplina alla quale ispirarsi. Non hanno interiorizzato nessuna regola.
La “Quasimodo- Melo” è da molti considerata una scuola “difficile”, e nonostante ciò accoglie molti più studenti diversamente abili rispetto ad altre scuole del quartiere, cosa ne pensa?
C’è una lunga tradizione di accoglienza dei ragazzi diversamente abili e un ottimo gruppo di docenti di sostegno che lavorano molto bene con questi ragazzi. Poi naturalmente ogni dirigente porta la sua sensibilità in questo ambito.
Le scuole ricevono dei fondi o dei finanziamenti dalla circoscrizione o dal comune? Sono in qualche modo supportate dalle istituzioni del territorio nell’affrontare il recupero di studenti con problemi?
Il comune ha un piano di interventi finanziari per i disabili abbastanza consistente. Con la circoscrizione e gli assistenti sociali che la circoscrizione mette a disposizione per i ragazzi più difficili, abbiamo avuto rapporti di lavoro abbastanza buoni, il problema è che c’è poco personale. Una volta ci mandavano anche il sostegno di qualche educatore, mentre ora non ne hanno più a sufficienza. In questa fase per fortuna il comune non ha ridotto i suoi stanziamenti quindi con questi fondi si possono portare avanti diversi progetti. A ciò si aggiungono i fondi del FIS (fondo di istituto).
In che modo la riforma Gelmini ha influito, se lo ha fatto, sulle scuole ed in particolare sulla “Quasimodo-Melo”?
La riforma ha ridotto il personale, ci sono meno collaboratori scolastici, che in una scuola sono fondamentali. In una scuola come la “Quasimodo-Melo” dove i ragazzi “forzano un po’ la mano”, è importante che ci siano dei validi collaboratori scolastici che vigilino, all’entrata e alle varie uscite e tengano sotto controllo i corridoi. La riduzione del personale incide sull’andamento della scuola. La riforma ha anche comportato una riduzione del numero degli insegnanti di Lettere perché hanno tutti adesso 18 ore, anziché 15 ore un anno e 18 ore l’anno successivo. Nell’anno in cui avevano 15 ore, gli insegnanti, se non erano impegnati nelle supplenze, potevano realizzare progetti di recupero o di sostegno. Ci sono stati dei tagli per quanto riguarda i fondi riguardanti le ore eccedenti di supplenza, questa è stata una perdita importante perché un docente ha diritto di essere pagato se fa un’ora di supplenza, ma se non ci sono fondi questo diventa un problema ed allora siamo costretti a tirare la cinghia per esempio facendo entrare i ragazzi alla seconda ora, o facendoli uscire prima, ma questo non va bene perché comporta una riduzione del tempo passato a scuola.
Ci sono progetti particolari che la scuola metteva a disposizione degli abitanti del territorio?
Ce n’erano sono tantissimi. Abbiamo organizzato “area a rischio” che ci consentiva di intervenire con dei fondi per i ragazzi più difficili con varie iniziative, poi c’erano i pon, progetti cofinanziati da fondi europei: l’anno scorso abbiamo portato avanti 6 moduli da 30 ore con laboratori di teatro, un progetto di educazione ambientale, uno di educazione alimentare, uno per il coro, uno per imparare a lavorare con il computer. I ragazzi venivano a scuola anche di pomeriggio ed imparavano in maniera “alternativa”, cioè attraverso insegnamenti non curriculari, ma comunque estremamente validi. Abbiamo portato avanti anche progetti sulla legalità, uno si chiamava “legali al Sud” poi abbiamo partecipato alle registrazioni di Radio Kreattiva, la radio contro la mafia. Abbiamo organizzato laboratori di ceramica, disegno, educazione artistica. Tutto questo per i ragazzi. Per gli adulti abbiamo organizzato altrettante iniziative perché presso la scuola c’è il centro territoriale permanente per l’educazione degli adulti; con i fondi europei abbiamo insegnato informatica, inglese, organizzato corsi per puericultrici (“tata cercasi”) e badanti e altri corsi pre-professionalizzanti per gli adulti in modo da riportarli in formazione oppure integrare le loro informazioni negli ambiti in cui sono carenti. La risposta del quartiere è stata molto positiva, sono molti gli adulti che vogliono tornare a imparare. La scuola lavora tanto e bene per il quartiere. Abbiamo avuto tanti risultati positivi, ma anche tante difficoltà. Le scuole che lavorano in quartieri così complessi, hanno un ruolo davvero importante, e bisogna crederci. Non è facile ma sicuramente si può incidere nell’educazione dei ragazzi, nella gestione e nella crescita del quartiere. Se in un territorio come il quartiere Libertà si togliesse una scuola, il quartiere realmente sarebbe impoverito, avrebbe un gravissimo danno. La scuola funziona da presidio di civiltà ed è veramente importante per mantenere il livello di relazioni sociali e di cultura generale della gente, accettabile.