
Lunedì 6 febbraio abbiamo intervistato Giovanni Bachelet, al termine della conferenza “Il volto mite della giustizia. Ricordo di Vittorio Bachelet, vicepresidente del CSM e docente universitario, vittima del terrorismo”. La conferenza era inserita nel ciclo di incontri “L’edificio della Memoria 2012”.
Giovanni Bachelet, professore ordinario di Fisica, è dal 2008 in congedo perché eletto alla Camera dei Deputati. Ha contribuito nel 2002 alla fondazione dell’associazione Libertà e Giustizia della quale è tuttora Garante. Nel 2005 è stato uno dei fondatori del comitato promotore del referendum costituzionale.
Perché la gente sembra non mostrare interesse all’impegno personale per la cura del bene comune?
Secondo me non è vero l’assunto, ossia non è vero che la gente non è interessata ad impegnarsi per la tutela del bene comune. Se una serie di problemi sociali non scoppia in Italia, è perché le associazioni di volontariato, le associazioni no profit, le famiglie fanno da ammortizzatore sociale a numerose situazioni difficili. Quindi a me pare che sul bene comune dal punto di vista sociale siano in molti ad essere sensibili a livello familiare, personale, o a livello associativo. E’ sul nesso fra il bene sociale comune e l’impegno politico che manca una connessione e mi pare che su questo ci siano dei problemi.
Spesso si nota uno scollamento tra chi si occupa di politica circoscrizionale e le associazioni che operano come volontarie sul territorio, ed è pari alla distanza esistente tra chi si occupa di politica e le necessità effettive dei cittadini. Come fare per rimediare?
Io credo che l’illusione che si possa fare politica sulla base di buoni sentimenti e principi sani sia la base di tutte le delusioni. Papa Giovanni XXIII, nella sua ultima enciclica intitolata “Pacem in terris”, diceva che non bastano la fede e dei buoni principi per ottenere un efficace impegno politico ma ci vogliono competenza, conoscenza e santità. La santità è una virtù comune a tutti i cristiani quindi non caratterizza il politico, il politico è caratterizzato da conoscenza e competenza, quindi l’illusione che se fossimo tutti più buoni i partiti sarebbero migliori è un’illusione sciocca. Il problema è che la politica richiede molta pazienza di persuasione perché per fare politica bisogna avere molte persone che ci danno ragione e mio padre una volta ricordava che in politica non basta avere ragione, bisogna anche farsela dare dal 51% degli elettori. Quindi bisogna avere buoni principi, pazienza di persuadere, sapere dove si vuole andare e avere strumenti di tipo professionale per affrontar e i problemi di cui si parla. Queste cose sono obiettivamente più difficili che occuparsi, come ho fatto anch’io per diversi anni a livello associativo, di un problema specifico con le proprie mani, con il proprio cuore, che è una cosa senz’altro preziosa, ma pensare che questo valga di più di un’altra cosa che io non so fare è un atto di scarsa intelligenza. Occorre rendersi conto della difficoltà e della diversità della natura dell’impegno politico rispetto all’impegno sociale e avere l’umiltà di imparare e parlare con diverse persone per persuaderle; non appena si comincia questo lavoro, si capisce subito che è una grande impresa che non tutti sanno fare.
Nel nostro territorio, chi si occupa di politica circoscrizionale sembra aver fallito ogni tentativo di creare un reale raccordo tra cittadini e istituzioni: qual è il punto critico?
Il punto critico è che qualcuno ha votato queste persone! Voi non siete capaci di votarne altri che si occupano della comunità in modo migliore. Evidentemente queste persone offrono qualcosa ai loro elettori: forse favori personali, forse vantaggi di gruppo e tuttavia per essere più bravi di loro occorre prendere più voti di loro e quindi non basta condannare chi fa politica male, bisogna saperla fare bene e batterli sul piano elettorale altrimenti ci limitiamo a lamentele vuote.
Ci potrebbe indicare delle tematiche che ritiene essenziale affrontare per migliorare l’incisività della nostra scuola di formazione alla cittadinanza attiva nel quartiere?
Quello che è servito a me, e me l’ha insegnato il mio capo clan Paolo Giuntella che poi è stato anche un giornalista affermato del Tg1, purtroppo prematuramente scomparso, è che bisogna studiare e studiare i meccanismi intrinseci della Costituzione e delle regole democratiche per capirne il valore ma anche per saperle utilizzare in modo efficace e in modo da trasformare sentimenti e passioni in scelte di tutti. Direi che la cosa che spesso non si fa nei gruppi, anche nei migliori, è studiare la Costituzione, studiare i documenti del Concilio Vaticano II perché anche quelli ci insegnano come cristiani a occuparci responsabilmente della cosa pubblica e ci spiegano che su molte questioni politiche siamo noi laici che sotto la nostra responsabilità dobbiamo riuscire a compiere un’azione efficace. Bisogna inoltre studiare il nostro territorio negli aspetti che meno conosciamo: la dinamica dei rifiuti, la dinamica dell’energia, dei trasporti; perché si fa presto a dire quello che non va ma sono in pochi a dire quello che si deve fare. Competenza e conoscenza sono la base per andare al di là del singolo atto di buona volontà.