
Articolo di Gianfranco Amodio
Foto tratte dal web
Tutti noi conosciamo l’inno nazionale: lo abbiamo cantato tante volte, per lo più prima di partite di calcio, e tante volte abbiamo cantato gridando: “siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!”. Per i nostri eroi risorgimentali non erano parole vuote: come tanti altri, infatti, Goffredo Mameli, a soli 22 anni, morì nel vano tentativo di difendere la Repubblica Romana contro le truppe francesi (che a loro volta difendevano l’oscurantismo papalino), in nome di tutte le libertà: libertà di parola, di stampa, di espressione, di associazione, e via dicendo. E’ significativo, poi, che l’inno sia diventato “Inno nazionale” solo 100 anni dopo, nel 1946 con l’avvento della Repubblica Italiana, dopo la parentesi della dittatura fascista: una marcetta che contemplava il sacrificio della vita in nome della libertà era troppo per l’epoca.
Dal canto suo, la città di Bari nell’immediato periodo post-unitario non ha dedicato alla libertà alcuna lapide o statua. Ha invece costruito un quartiere intero: il quartiere Libertà, con una toponomastica che ripercorre tutta la storia risorgimentale :piazza Garibaldi, corso Mazzini, Via Indipendenza, ecc..; e le libertà risorgimentali come la libertà di espressione fanno talmente parte di tutti noi che ormai l’origine del nome del quartiere Libertà non la ricorda più nessuno.
Oggi qualcuno in Francia ha ritenuto, al contrario di Mameli, non di “essere pronti alla morte” in nome della libertà, ma di dare agli altri la morte in nome della non libertà. Per fortuna che a Bari il quartiere esiste ancora….