
Articolo di Donatella Albergo
Foto di Donatella Albergo e Roberta Giordano
C’era una volta, in quell’angolo tra Corso Italia e la breve via Eritrea, un’elegante palazzina rosso-petruzzelli, con i profili bianchi alle finestre. Da Corso Italia era proprio un bel vedere: la piccola via Eritrea si apriva a sinistra con l’aggraziata palazzina, a destra con i superbi edifici, dello stesso periodo fascista, incorniciati da un perimetro di pini e pitosfori, e si chiudeva con il signorile palazzo di via Crisanzio, bianco e straordinario palcoscenico della corta via. Tutto nell’unico isolato di via Eritrea.
Quella palazzina aveva una sua storia sussurrata, chiacchierata e poi purificata dagli abitanti del quartiere e dalla mia famiglia. Era nata con il fascismo e si mormorava che nel Ventennio fosse stata sede di amori mercenari, ma allora legali. Lo sussurrava pure mio padre, incurvandosi nelle spalle, anche quando la palazzina era passata già da un pezzo a più adeguate mansioni. Infatti, ancora oggi è questo l’immaginario proibito nel quartiere: il casino fascista in via Eritrea …
Poi, con la caduta del fascismo, quell’elegante edificio diventò un ambulatorio. Le pareti furono dipinte di azzurrino, lucido e più oscuro nell’alta fascia inferiore, più tenue in alto, fino al soffitto. E nell’aria aleggiò l’odore del disinfettante. Diventò un presidio medico, forse specializzato nelle malattie della gola e qualche amica ancora ricorda quando le tolsero le tonsille nella palazzina rossa di via Eritrea.
Dagli anni Settanta in poi il pianterreno divenne sede sindacale UIL e l’edificio offrì la sua consulenza a migliaia di lavoratori.
La storia della nostra bella palazzina finisce nell’aprile 2013 quando fu frettolosamente demolita. E con lei divennero macerie le testimonianze del Ventennio, gli anni della guerra, e del dopoguerra, della ricostruzione, del boom economico, delle conquiste operaie e sindacali. Un buco scavato nella nostra memoria. Questo giornale lo documentò e inutilmente lo denunciò. Ma che fare? Nessuno riuscì a fermare nemmeno la demolizione, negli anni Settanta, della vecchia sede della “Gazzetta del Mezzogiorno” nell’attuale piazza Moro. Sorto nel 1927, su progetto dell’architetto Saverio Dioguardi, fu allora l’edifico più alto della città e sicuramente uno dei più belli. Ora rimangono solo quattro enormi ma tristi telamoni, nascosti nell’androne buio del Palazzo di Città, sede del Comune. Dunque chi avrebbe potuto fermare la demolizione del nostro edificio in via Eritrea, nel quartiere Libertà?
Oggi eccolo qui, il capolavoro del falso è completato. Due facciate bianco abbagliante e saracinesche lucenti, ma con qualche pretesa di classicità: portone di legno scuro, prospetto che suggerisce il bugnato liscio, balconi piccoli con ringhiere in ferro battuto, coronamento in via Eritrea con un ammiccante terrazzamento già pronto con travi ad essere coperto e chiuso, in attesa del prossimo condono per abusi edilizi…
E qui finisce il nostro racconto: avevamo l’originale e ci danno un falso, avevamo quasi cento anni di storia e ci danno l’anonimato.
Febbraio 2015
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Che nostalgia e che amarezza per me che ho abitato nei pressi di quella zona per tutta la fanciullezza e giovinezza.Ricordo che era ben tenuto quel palazzo e funzionava all’interno negli ultimi tempi il sindacato.Quando più grandicella cominciai a sentire e capire che all’origine era una casa chiusa,rimasi un po’ sorpresa poichè dall’esterno nulla traspariva che potesse far pensare ad una casa chiusa.del periodo fascista.(Nei Paesi nordici le signorine si espongono in abiti succinti dietro le vetrate dei palazzi)
Hanno abbattuto un pezzo di storia.e secondo me non avrebbe destato scandalo adibire quel palazzo ad un museo,dal punto di vista architettonico e dei contenuti, d’altronde quando andiamo a Pompei, non siamo tutti incuriositi nel visitare i lupanari famosi in tutto il mondo?
chi non rispetta il passato non ha futuro —