
Articolo originale https://www.chathamhouse.org/expert/comment/biodiversity-loss-big-crisis-climate-change
tratto da: https://www.chathamhouse.org/
data pubblicazione: 13 Maggio 2019
La pubblicazione di un report importante che descrive lo stato della natura presenta una previsione nefasta sul futuro dell’umanità e del pianeta. Gitika Bhardway dialoga con Sandra Diaz, co-direttrice del report, a proposito di ciò che determina la crisi della biodiversità e di come possiamo fermarla prima che sia troppo tardi.
La scorsa settimana, 150 esperti provenienti da 50 Paesi hanno reso pubblico un importante report che mostra come la natura sia in declino a livello globale, ad un livello mai osservato in precedenza, con quasi un milione di specie minacciate d’estinzione, più che in ogni altro periodo nella storia dell’uomo. Cosa provoca questa perdita globale di biodiversità e in cosa differisce dalle precedenti ondate di estinzione sperimentate sulla Terra?
Si pensa che la Terra abbia vissuto cinque estinzioni di massa nella sua storia, ma la differenza cruciale è che stavolta la minaccia è causata dagli esseri umani.
Le nostre azioni, nel corso degli ultimi 50 anni, sono state causa di un record di perdita di specie, da dieci a cento volte piú rapido del normale tasso di estinzione degli ultimi 10 milioni di anni. Solo dal 1970 la popolazione dei vertebrati è diminuita del 40% per le specie terrestri, dell’84% per quelle d’acqua dolce e del 35% per le specie marine.
Tutto ciò si sta verificando a causa di una serie di azioni umane, quali il cambio accelerato d’uso del suolo per allevamenti e disboscamento; lo sfruttamento eccessivo dei nostri mari ed oceani, dovuto alla pesca; l’inquinamento dell’aria, del suolo e dei sistemi acquatici; la caccia e anche –volutamente o meno– l’immissione di specie invasive da regioni distanti. E ciò sta succedendo su scala globale, senza precedenti.
Le attività umane hanno alterato significativamente circa i tre quarti di tutte le terre e i due terzi degli oceani, secondo questo report.
Dall’impollinazione degli insetti che ci forniscono cibo, alle paludi di mangrovie che ci forniscono scudi contro le tempeste, quanto gli umani dipendono dalla natura, e come impatterà su di noi se essa continuerà a degradarsi nella misura attuale?
Una delle cose che il report sottolinea è la profonda dipendenza di tutti gli esseri umani dalla natura. Dipendiamo dalla natura per avere una vita soddisfacente, indipendentemente da dove viviamo, spesso senza rendercene conto. Dipendiamo dalla natura per il nostro sostentamento fisico, per la nostra continuità culturale e il senso d’identità.
Certo, la natura regola anche una quantità di processi che neanche notiamo e che sono la base delle nostre economie e del nostro benessere, come l’acqua pulita, la protezione da pericoli ambientali, l’impollinazione dei raccolti e la regolazione del clima. Quindi non possiamo vivere la vita come la conosciamo e la godiamo, prescindendo da essa.
Nel report abbiamo fatto un bilancio valutando i diversi tipi di contributi della natura alle persone e abbiamo concluso che, ad eccezione della produzione di cibo, energia e materie prime, tutti gli altri contributi che la natura offre all’uomo -circa 14 di 18 tipi- stanno diminuendo globalmente.
Abbiamo analizzato una serie di scenari e in tutti c’è un brusco impoverimento della natura e un indebolimento della sua capacità di regolare i vari processi naturali della Terra. Inoltre, il cambio climatico sta interagendo con tutti gli altri fattori della biodiversità in modi complessi, per cui il futuro sembra estremamente cupo per la maggior parte delle persone nel mondo e anche peggiore alcune in particolare, già dai prossimi 30-40 anni.
Così come il cambio climatico, questa perdita di biodiversità, qui sottolineata, pone un rischio, serio ed urgente, per gli esseri umani, ma raramente è stata discussa. Considerando l’aumento della preoccupazione pubblica dopo il rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambio Climatico (IPCC) dello scorso anno e le diffuse proteste pubbliche di quest’anno, crede che questa tendenza possa cambiare?
Sì decisamente. l’IPCC ha avuto tradizionalmente maggior attenzione, ma ciò solo perché l’IPBES (la Piattaforma Intergovernativa Scienza-Politica sulla Biodiversità e i Sevizi d’Ecosistema) è molto più giovane. Questa è la prima analisi sulla biodiversità globale dal 2005 che presenta lo stato della biodiversità e dei servizi ecosistemici e ciò che significano per l’umanità.
Per contro l’IPCC ha decenni di storia, quindi seguiamo i loro passi, ispirati da loro nel modo di organizzarci, e come risultato credo che le persone stiano cominciando ad ascoltarci.
Siamo stati piacevolmente sorpresi dalla grande attenzione pubblica che abbiamo ricevuto quando il report è stato reso pubblico la scorsa settimana. Ci sono movimenti ambientalisti che si sono focalizzati sul cambio climatico e adesso -solo dopo una settimana dalla pubblicazione del report- hanno già annunciato che lotteranno per la natura, quanto per il clima, perché hanno capito che non possono lottare per l’uno senza lottare anche per l’altra.
Il rapporto mette in luce come i problemi dello sviluppo sostenibile, cambio climatico e biodiversità, siano correlati. Quindi, quanto richiede un approccio integrato l’affrontare questi problemi, per esempio attraverso accordi internazionali che includono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, per la sua sigla in inglese, NdR), l’Accordo di Parigi sul Cambio Climatico e gli Obiettivi Aichi sulla biodiversità? È necessario riformare questi strumenti in qualche modo?
L’approccio integrato è imprescindibile. Nel report, diamo ampio spazio al concetto che cercare di raggiungere il benessere umano per tutti, fermare il cambio climatico e conservare la biodiversità siano problemi che non possono essere affrontati singolarmente; si rischierebbe di peggiorare gli altri due problemi, cercando di risolverne uno solo.
I tre strumenti che ha citato devono considerare i tre pilastri: buona qualità della vita per tutti, clima e biodiversità in modo integrato, molto più di quanto sia stato fatto fino ad ora. Questi strumenti devono dialogare tra loro e ciascuno deve tener conto degli altri nel progettare gli obiettivi e definire le azioni da svolgere.
Per esempio, nella nostra valutazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), abbiamo visto che molti di essi non citano espressamente la biodiversità, cosa che è sorprendente, considerando che non si possono raggiungere gli obiettivi senza la natura, ovvero la fonte di vita.
E inoltre: abbiamo bisogno di focalizzarci molto di più su azioni più che su obiettivi alquanto nebulosi. C’è molta sinergia che deve essere raggiunta sui tre accordi, e credo che la gente che li guida sia adesso molto più preparata ad ascoltare di quanto lo fosse prima.
Questo report è stato approvato da 132 governi, con la Francia che ha annunciato che adesso mira a proteggere la biodiversità come priorità importante quanto il cambio climatico, ed anche i paesi del G7
-insieme a Cile, Fiji, Gabon, Messico, Nigeria e Norvegia- hanno annunciato il loro impegno a proteggere la biodiversità in accordo con il report. Quale azione vorrebbe veder prendere dagli altri governi?
In sintesi, vorrei vedere i governi investire soldi piuttosto che spendere parole, per dirla in maniera semplice. Hanno tutti espresso la loro preoccupazione rispetto alla perdita di biodiversità -e la maggior parte dei governi, se non tutti, hanno lodato quanto abbiamo riportato nel nostro report- ma adesso abbiamo bisogno di azioni.
C’è un numero di correzioni che possono essere fatte facilmente e velocemente come creare più aree protette, migliorare i sistemi di trattamento della spazzatura, proibire la plastica, migliorare le reti da pesca e riciclare di più. Tutto questo può aiutare enormemente, ma solo se fatto in sinergia, perché singolarmente non sarà mai abbastanza.
Per avere l’opportunità di fermare la distruzione del nostro mondo naturale, abbiamo bisogno di fare quanto descritto, oltre a determinarne le cause che sono alla base di tale distruzione. Questo significa esaminare e affrontare le attività che guidano il cambio d’uso del suolo e i cambiamenti nei nostri mari ed oceani, il cambiamento climatico, l’inquinamento e il diffondersi di specie invasive. Queste cause sono tutte relazionate al nostro stile di vita. Ecco perché noi diciamo che, nonostante la crisi della biodiversità sembri biologica, le cause e le soluzioni sono profondamente sociali.
Quindi i governi devono integrare le considerazioni sulla biodiversità trasversalmente a tutti i settori, non solo con migliori politiche ambientali, ma anche con migliori politiche relative all’agricoltura, alle infrastrutture e al commercio. La biodiversità non è solo un problema per i rispettivi ministri dell’ambiente; è un problema per tutti i ministri, perché è un problema che investe tutti i settori.
Bisognerebbe mettere la natura e il bene comune al di sopra degli interessi economici di una ristretta minoranza. E’ tanto semplice eppure così difficile da fare.