25 APRILE 1945: LA LIBERTA’ CHE NON CONOSCE SCONFITTA

Intervista di Antonio Garofalo a Rosaria Lopedote
foto tratte dalla pagina facebook di R. Lopedote

In città le bandiere sui balconi, inondate dalla luce di primavera, riempiono ormai da tempo le nostre giornate e aspettano di tornare a sventolare.

è come se l’inizio della nuova stagione portasse con sé l’unica fiducia, di cui ora abbiamo bisogno: neutralizzare e lasciarsi alle spalle le “giornate più difficili”, come quelle che indiscutibilmente abbiamo e stiamo attraversando a causa della pandemia.

Ciò penso sarà successo anche settantacinque anni fa, per altre ragioni e cause ovviamente, quando quel 25 aprile del 1945 il Paese si liberò dal nazifascismo: sradicati dal passato, con un presente da ricostruire e tanta incertezza sul futuro.

Eppure quel momento, quella data è divenuta a distanza di tanti anni, il simbolo di una rinascita, di una memoria per quanto travagliatamente “conquistata”, innegabilmente legata al bene più grande a cui un popolo possa aspirare: la libertà.

Discuterò su tale argomento con Rosaria Lopedote, già parlamentare, della Segreteria dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), in occasione dell’imminente “Festa del 25 aprile”, che quest’anno si realizzerà in un contesto meno “pubblico” e più “virtuale”, ma non per questo poco significante.

Inizierei con una domanda personale.

Chi è Rosaria Lopedote e per quale motivo è iscritta all’ANPI Associazione Nazionale Partigiani d’Italia?

La mia famiglia di origine, del proletariato urbano del quartiere Libertà, mi ha insegnato la dignità del Lavoro, la solidarietà, il rifiuto della guerra e di ogni forma di prevaricazione. Attraverso gli studi ho poi conosciuto le nefandezze del fascismo: la privazione delle libertà, il confino e il carcere per gli oppositori, le leggi razziali, il ruolo delle donne confinato a quello di “fattrici”, la ferocia della repressione esercitata nelle colonie, l’alleanza col nazismo, la guerra…. Da qui la scelta del valore, ora come allora, dell’antifascismo e la conseguente adesione all’Anpi.

Il valore, a distanza di settantacinque anni, del “25 aprile”: perché è corretto oggi tenerne alta la memoria?

In questi anni abbiamo assistito a vari tentativi di negare il valore storico e nazionale della guerra di Liberazione, declassata in qualche caso a guerra civile “tra opposte fazioni”…. In alcuni nefasti governi della nostra Repubblica alcuni ministri hanno disertato le manifestazioni del 25 aprile: inutile dire che si trattava di ministri espressione di area politica vicina al fascismo. Perché, benché sia vietata dalla nostra Costituzione la ricostruzione, sotto qualunque forma, del partito fascista, quella matrice non è stata debellata. Senza tornare agli anni bui dello stragismo, in cui gruppi neofascisti collusi con pezzi deviati dello Stato, seminarono bombe e morte a Milano, Brescia, Bologna. Ci basti pensare a tempi molto più recenti.

L’accanimento sistematico contro gli immigrati, il richiamo alla violenza negli stadi e contro le donne rispetto alle quali si è evocato più volte lo stupro come strumento d’intimidazione, l’intolleranza, l’antisemitismo e aggressioni di Casapound (che abbiamo ben conosciuto anche a Bari) sono tutte manifestazioni di un pericoloso rigurgito fascista che richiede una costante vigilanza democratica. 75 anni fa, il 25 aprile l’Italia si liberava dal nazifascismo; sottolineo il “si”, perché a liberarsi e a riscattare la dignità del proprio Paese fu un intero popolo. Furono i ragazzi della muraglia della città vecchia di Bari, i “femminielli” napoletani, le ragazze che facevano le staffette, le Brigate partigiane, i cattolici, sacerdoti come don Pietro Pappagallo, insegnanti come Gesmundo (cito questi martiri delle fosse Ardeatine perché di Terlizzi). Furono i frati che nascosero i partigiani nei conventi, gli operai che proclamarono lo sciopero generale, i carabinieri fedeli al Paese e non al regime, i militari che scelsero di disertare piuttosto che aderire alla repubblica di Salo’. Ecco il valore del 25 aprile: nasce qui, dalla Liberazione, l’Italia democratica che abbiamo il dovere di difendere ancora oggi.

“Altro che bella ciao, la resistenza la fanno medici e infermieri”. Cosa risponde a Sallusti che ha lanciato questa provocazione sul suo giornale?

Sallusti ha recentemente lanciato una provocazione (cosa che per lui non costituisce una novità): nel continuo tentativo di delegittimare la Resistenza, ha scritto che “oggi “la resistenza la fanno medici ed infermieri”. Quasi un virus possa paragonarsi a una sistematica azione di guerra, repressione, violenza, razzismo, perpetuata dai fascisti. I nostri medici e infermieri stanno mostrando professionalità e abnegazione. Ben 167 le vittime tra il personale sanitario ad oggi. Non eroi, ma morti sul lavoro, come tanti (1538 lo scorso anno) nel nostro Paese; anche in questo caso andrebbero ricercate responsabilità, omissioni, superficialità. Non ora, ma verrà il tempo in cui “chieder conto”.

Una domanda, però non può prescindere dall’autentica e difficile attualità che stiamo vivendo: in un contesto in cui abbiamo capito cosa significa vivere nell’incertezza, e che per forza di cose impone alla società un cambiamento “epocale” rispetto ai nostri comportamenti, quale valore ha la “Liberazione” per noi, il nostro Paese, l’Europa?

In un momento come l’attuale, possiamo ancora attingere ai valori e alla testimonianza della Resistenza per affrontare i temi inediti che ci sono posti dalla necessità di rifondare un’Europa solidale, ripensare alla produzione ed organizzazione del lavoro, democrazia partecipata, cittadinanza attiva, alleanza tra produttori e consumatori, un diverso rapporto con la natura. Come allora, occorre che ci si rimbocchi le maniche, ognuno faccia la sua parte con responsabilità e dedizione, e si operi insieme: la Liberazione fu una grande opera “collettiva ”e lo stesso spirito dovremmo mettere ora in campo per affrontare un problema epocale e costruire un futuro di pace tra i viventi.

Cosa sente di dire ai più giovani sul 25 aprile?

Nel mio lavoro d’insegnante ho cercato di trasmettere “memoria” perché senza memoria non si riconoscono le proprie radici e non si può costruire la propria identità. Questo vale per gli individui e per i corpi sociali. Alcuni errori sono stati commessi nel non dare nei percorsi didattici il giusto spazio alla storia del ‘900 e questo ha comportato la difficoltà di decodificare l’oggi. Il rischio è un presente che non è frutto del passato e non costruisce il futuro, un appiattimento sull’oggi, ”qui e ora” e capiamo bene come questo pregiudichi i rapporti sociali, l’accettazione delle diversità, la capacità di accoglienza, i consumi, l’uso e l’abuso delle nuove tecnologie. Ma ho una grande fiducia nei giovani e nella loro curiosità: allora, parliamo loro, raccontiamo, anche attraverso testimonianze, quello che è stato: che la tragedia del fascismo non si ripeta, che i valori fondanti della nostra Costituzione, forse la migliore al mondo, siano attuati, a partire dall’articolo 1 che quella democrazia conquistata il 25 Aprile di 75 anni fa sia difesa, che se ne abbia cura sempre.

Quest’anno, con l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e che ci costringe a stare lontani, la Festa della Liberazione rappresenta più che mai il momento per riaffermare con forza i valori della Resistenza, della Costituzione e della democrazia. Anche se non potremo scendere in piazza, il 25 aprile è l’occasione, ancora una volta, per celebrare la Festa della Liberazione guardando al futuro, per impegnarci ancora di più ad affermare i principi della nostra Costituzione, convinti che solo così il nostro Paese potrà ripartire all’insegna dell’unità e della speranza. Ecco l’appello dell’ANPI per quest’anno: chiedere a cittadini e associazioni (tante hanno già dato assenso) di aderire al flash mob #bellaciaoinognicasa: il 25 aprile alle ore 15, l’ora in cui ogni anno parte a Milano il grande corteo nazionale, invitiamo tutti caldamente ad esporre dalle finestre, dai balconi il tricolore e ad intonare Bella ciao.

E se un giorno uno “Stato di diritto” si trasformasse in “Stato di delitto”, secondo la celebre espressione di Hannah Arendt (a proposito dei regimi totalitari dell’Europa tra le due guerre), non potremmo che seguire, oggi e per sempre, gli insegnamenti lasciati dalla Resistenza. Grazie Rosaria per averceli espressi e ricordati, attraverso questa tua mirabile sintesi.

 

 

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