Immigrazione: 21° Rapporto Dossier Statistico 2011

articolo di Antonio Garofalo
foto da panorama.it

 

“Oltre la crisi insieme”, questo il singolare (quanto attuale) motto che l’annuale rapporto sull’immigrazione della Caritas e fondazione Migrantes ha dato al suo “Dossier Statistico Immigrazione2011”, un sussidio per favorire la conoscenza del fenomeno migratorio.

I dati statistici, che osserveremo con gli occhi di chi vuole comprendere l’attuale situazione dell’immigrazione e degli immigrati, portano ad un unico comune denominatore: il fenomeno della mobilità va di pari passo con la solidarietà.

Tale documento,  partendo da alcuni aspetti generali -di carattere internazionale ed europeo- si sofferma in modo dettagliato sull’Italia, considerando le caratteristiche della migrazione regione per regione, evidenziando non solo valori demografici ma anche sociali ed economici.

Su tutti spicca un dato a livello nazionale: nel 1861, anno dell’unità d’Italia, l’incidenza degli stranieri era dello 0,4% (uno ogni 250 abitanti). Oggi influiscono del 7,5 % ossia 52 volte in più rispetto all’anno dell’Unità. Si consideri che il Paese europeo con una presenza straniera più alta, superiore ad un decimo della popolazione residente, è la Spagna con una percentuale pari al 12% (dato che risale al gennaio 2010).

Nel prospetto riassuntivo dell’immigrazione in Italia, posto a 100 il numero di stranieri residenti, il 35% risiede al Nord Ovest, il 26% ad Nord Est, il 25% al Centro, al Sud il 9,6%, ed infine nelle Isole il 3,9%. Inoltre le prime cinque collettività per numero di residenti vedono in testala Romania con il 21%, seguita dall’Albania (11%), Marocco (10%), Cina ed Ucraina con il 4%.

La nostra nazione è soggetta ad un crescente processo d’invecchiamento: secondo fonti ISTAT (Dossier Statistico immigrazione 2008) è in atto da anni una diminuzione dei nuovi nati in Italia. Invece, i figli dei cittadini stranieri acquistano un’incidenza crescente: 14% nel 2010 oppure il 18,4% se si considerano i nati da madre straniera e padre italiano.  A ciò si aggiunga (fonte Relazione generale sulla situazione economica del Paese) che l’Italia ha speso per la famiglia l’1,4% del PIL su una media europea del 2% (Austria e Germania 2,8%, Francia e Grecia 2,5%), collocandosi nelle ultime posizioni, la Polonia è l’ultima con lo 0,8%. Le risorse limitate fanno si che da noi solo 9 bambini su 100 possano essere accolti negli asili nido, quando la quota raccomandata dall’UE è del 33% (raggiunta in alcuni stai membri). Pertanto, poiché metà della popolazione vive con un reddito familiare al di sotto di 1500 euro, gli italiani per avere condizioni di vita migliori rinunciano ad avere figli. Motivo per cui senza gli immigrati la situazione da deficitaria sarebbe divenuta catastrofica, perché si sarebbe verificata una diminuzione della popolazione oltre che della forza lavoro.

Anche se spiace costatarlo, l’Italia è un Paese statisticamente in “decadenza” economica: la produttività nel periodo 2000-2009 è cresciuta dell’1,4% rispetto al 10% dei Paesi dell’euro e al 12,7 dei 27 Paesi UE. Mentre la disoccupazione, seppur inferiore alla media europea (8,4% rispetto al 10%), grazie anche alla protezione della CIG (Cassa Integrazione Guadagni), coinvolge più di un quarto di giovani. Il tasso di occupazione è inferiore di 10 punti rispetto alla media UE, al terzultimo tra i paesi dell’area; arrivano infatti a 2 milioni i giovani che, scoraggiati, né studiano né cercano lavoro.

In questa situazione problematica, gli immigrati sono un fattore di compensazione invece che di aggravio e non è fondato addebitare loro problemi che hanno altre cause. Il dato di fatto quindi è che l’Italia è Paese strutturalmente ormai multiculturale, anche a seguito delle esigenze demografiche e occupazionali già citate. Se la situazione dunque è questa, l’obiettivo da raggiungere è la coesione, l’interazione, una prospettiva interculturale che possa creare un contesto di “incontro” e non di “scontro”, tra italiani e stranieri.  Infatti, i più rilevanti indicatori come la crescente presenza dei cittadini stranieri, il numero dei minori, la frequenza nelle scuole, i matrimoni misti e le acquisizioni di cittadinanza vanno in un solo senso, ossia l’integrazione.

Dopo aver così tracciato in generale un breve quadro nazionale, il 21° rapporto del Dossier sull’immigrazione approfondisce i dati e propone una serie di temi di notevole impatto sociale oltre che economico e politico.

L’immigrazione in Puglia ha una storia recente: la rivolta di alcuni ospiti del CARA (Cento di Accoglienza Richiedenti Asilo) di Bari e le fughe dal centro di Manduria, così come il ricordo dello sbarco del mercantile Vlora avvenuto nel torrido agosto del 1991, rimangono nella memoria e nella storia di alcune iniziative celebrate nel capoluogo.

Partiamo dal primo dato: la presenza in Puglia degli stranieri sul totale della popolazione è del 2,3% nel 2010, su una media nazionale del 7,5% (Emilia Romagna è la prima regione con una percentuale dell’11,3%). Le comunità più numerose di cittadini stranieri residenti sono nell’ordine quella albanese (23,8%), romena (23,6%) seguite da Marocco e Cina rispettivamente 8% e 4,7% (si ricorda che il “Dossier2011”comprende nel calcolo gli stranieri comunitari, coloro in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno e quanti non sono ancora iscritti nell’anagrafe pur essendo regolari).

Informazioni importanti per comprendere le dinamiche del fenomeno migratorio derivano dalla lettura dei dati riferiti alle nascite. La percentuale di figli nati da genitori stranieri è del 3,2% contro il 13,9% della media nazionale. A ciò si aggiunga che il tasso di fecondità della donna straniera pari a 1,75 figli per donna è superiore soltanto a quello della Calabria, (1,67) e nettamente inferiore alla media nazionale (2,13). Ciò significa che mentre in Puglia e in altre regioni meridionali le donne italiane continuano ad avere figli e a portare avanti progetti che mirano alla costruzione di una famiglia, le donne straniere spesso rinunciano a questa prospettiva.

Tale analisi è confermata anche dalle percentuali che interessano la presenza dei minori: in Puglia è del 19,5% (18,5% nel meridione), inferiore però di ben quattro punti (23,5%) rispetto a quella del Nord.  Ciò significa che da una parte difficilmente si nasce in Puglia per motivi strettamente connessi all’economia, al mercato del lavoro, alle opportunità scarse e poco proficue che vengono offerte soprattutto alle donne, dall’altra che anche quando si arriva minorenni nella nostra regione, spesso non vi si resta a lungo.

Secondo il Rapporto Economie Regionali (anno 2010, Banca d’Italia), l’economia in Puglia ha dato cenni di ripresa, anche se “la debolezza dell’attività si è riflessa in un quadro occupazionale ancora preoccupante”. Il tasso di disoccupazione è del 13,5% (in una famiglia su cinque nessuno dei componenti in età lavorativa ha un’occupazione). Tale quadro poco incoraggiante fornisce una prima spiegazione alla fuga anche dei giovani stranieri dalla nostra regione. Inoltre i dati Inail sugli assicurati in Puglia, riguardanti le donne straniere vedono assicurate solo il 39,6% delle stesse. Un valore molto basso considerando che al Sud si attesta al 41,5% (49,7% a livello nazionale). Sorprende tale dato giacché incoerente con le donne straniere lavoratrici come collaboratrici familiari e assistenti agli anziani. Da ciò si deduce come invece sia alta (e purtroppo non quantificabile) la percentuale di chi lavora senza copertura assicurativa e con conseguente privazione di ogni tutela (risultati bassi, in alcuni casi assenti, anche per le denunce di infortuni per lavoro).

Nello stesso tempo bisogna rilevare come l’economia pugliese sia fortemente basata sul comparto agricolo, che vede la manodopera femminile poco coinvolta. Infatti il 47,5%, stando al Rapporto della Banca d’Italia, ha riguardato nuove assunzioni: picco nella provincia di Foggia con il 76,6%, mentre sorprende la provincia di Lecce con il tasso più basso il 18,7% (ricordiamo che le due province occupano le stesse posizioni come occupati e assunzioni nel settore agricolo). L’analisi si fa interessante se si guarda alla protesta dei braccianti nel territorio salentino di Nardò. Esplode inoltre nei primi mesi del 2011 (ma le prime denunce erano del 2010) la protesta di immigrati provenienti da Pakistan, Ghana, Kenya, Senegal, Sudan per le condizioni di sfruttamento e la riduzione in schiavitù durante le attività lavorative.

Luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi presentano l’immigrazione come una delle principali cause delle crisi economiche, dell’aumento della disoccupazione e della spesa pubblica senza invece prendere in considerazione ciò che l’immigrazione apporta in termini economici e culturali non solo al paese ospitante, ma anche a quello d’origine (nella maggior parte dei casi molto povero); si parla qui di rimesse “reali” (moneta e beni). La provincia che registra la percentuale massima di rimesse è quella di Bari (47,5%), seguita nell’ordine da Foggia, Lecce, Taranto, Brindisi e Barletta-Andria-Trani. Le rimesse raggiungono prevalentemente Romania (28,5%), Cina (16,2%) e Georgia (7,9%).

Altro spaccato interessante è l’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole della Puglia. Il rapporto riguarda uno studio effettuato dall’ufficio scolastico regionale per la Puglia (anno 2009/10), nel quale si legge che ormai “la presenza di alunni di origine non italiana nella scuola pugliese è una costante di lungo periodo”; “il fenomeno ha subito negli anni 2003/04 una brusca accelerazione, in particolare per i gradi iniziali dell’istruzione, quali l’infanzia e la primaria”. Incrociando tali dati con l’aggiornamento del MIUR (Ministero Istruzione Università e Ricerca) si riscontra che il 64,3% degli iscritti stranieri nelle scuole dell’infanzia è nato in Italia (il 71,9% nella provincia di Bari). La percentuale scende al 37,3% nella scuola primaria, inoltre i paesi maggiormente rappresentati nelle scuole pugliesi sono Albania (32%), Romania (21%), Marocco e Cina rispettivamente 8% e 5%. Nelle scuole pugliesi gli alunni stranieri sono l’1,9% degli alunni stranieri iscritti nelle scuole italiane. È inoltre confermata l’alta percentuale delle donne nelle iscrizioni: il 48,9% (la media nazionale è del 47,7%) percentuale che sale al 51% nella scuola secondaria di secondo grado. Una nota: ad una frequenza costante corrisponde di solito una valutazione che si attesta su un risultato più che discreto atto in ogni caso alla promozione alla classe successiva.

Infine, una situazione che caratterizza la Puglia: la distribuzione della popolazione straniera preferisce i comuni più piccoli, vicini al capoluogo ma meno costosi. Infatti l’entroterra della provincia di Bari ha ospitato nel corso degli anni molti stranieri inseriti nei settori economici interessati da produzioni artigianali e agricole. Un esempio è fornito dalle comunità di Casamassima, Gioia del Colle, Sammichele, Turi, città che secondo i dati Istat condividono un netto aumento della popolazione straniera e una crescente femminilizzazione del fenomeno migratorio. In questo contesto è sorto il centro intercultura “Incontrarsi a Sud”, promosso nell’ambito dei quattro comuni descritti. Il centro consiste in un centro di documentazione, uno Sportello informativo (in parte itinerante) e un Laboratorio per attività interculturali, al fine di favorire l’interazione fra cittadini italiani e stranieri.

 

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