
INTERVISTA A CLELIA IACOBONE
La prof.ssa Clelia Iacobone, docente di Italiano e Latino al liceo Scientifico
Scientifico “E. Fermi” di Bari, è autrice di saggi quali Puglia (1) Dalla
preistoria al medioevo (2003) e Puglia (2) Dal Quattrocento al novecento (2004) editi da Edipuglia.
L’attenzione del nostro giornale a protagonisti baresi della cultura che si
occupano di vari aspetti del territorio in cui viviamo, ci ha condotto a
intervistare questa studiosa, splendida insegnante e persona ricca di calda
umanità.
1. Come nasce il tuo interesse per la storia della Puglia?
Nasce da una mia antica passione: l’archeologia, che ancora oggi cerco di
coltivare e di conciliare con il mio lavoro di insegnante. Si tratta di una
disciplina straordinaria, che consente di gettare uno sguardo inedito sul
passato: aiuta a conoscerne la vita materiale, l’economia, le mentalità, le
tradizioni. E così, studiando questi temi, è stato inevitabile per me
imbattermi nella storia della nostra regione, la Puglia, che ho cercato di
indagare proprio da questo specifico punto di vista.
2. I tuoi studi si sono svolti interamente a Bari?
Ho frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia a Bari: allora -parliamo di trent’anni fa, ma nella sostanza oggi poco è cambiato!- era l’unica
strada possibile per chi avesse voluto intraprendere gli studi di
archeologia.
Devo riconoscere di aver avuto una grande opportunità. Alla fine del primo
anno di studi ho conosciuto il prof. Andrea Carandini, dell’Università di
Siena, che mi ha consentito di partecipare ad una straordinaria esperienza
scientifica e formativa: lo scavo della villa romana di Settefinestre, nei
pressi di Orbetello, in Toscana. Quella ricerca, guidata da un’equipe italo-
britannica e realizzata con la partecipazione di oltre cento studenti
provenienti dalle più prestigiose università italiane ed europee, non ha
segnato solo la mia storia personale: ha consentito infatti di scrivere un’
importante pagina di storia antica. Ribaltando le conoscenze precedenti che
descrivevano le campagne italiane del II secolo a.C. spopolate e devastate
dalla guerra condotta da Annibale in Italia, quello scavo ha permesso di
riconoscere la presenza di un sistema agricolo altamente efficiente e
produttivo, incentrato su aziende di medie dimensioni (le villae), e reso
possibile dall’utilizzo massiccio di manodopera schiavile.
3. Quali sono la genesi e lo sviluppo dei tuoi scritti sulla storia della
Puglia?
I miei interessi di ricerca, in realtà, erano legati allo studio della
religione e dell’antropologia del mondo antico: dopo la laurea ho
studiato i culti della Magna Grecia, pubblicando una monografia sugli ex-voto di Taranto. Ho anche tentato di continuare a lavorare “sul campo”, prima trasferendomi per qualche mese a Roma e poi fondando a Bari, con altri colleghi, una cooperativa di archeologi. Ma gli investimenti nella cultura sono sempre stati esigui e dunque scarse le opportunità di lavoro per gli archeologi. Direi che per me fu quasi inevitabile ripiegare sull’insegnamento, dal momento che qualche anno prima avevo superato un concorso pubblico nella scuola. Così ho cominciato ad interessarmi di storia: una disciplina che insegnavo a scuola la mattina e che di pomeriggio mi consentiva di continuare a coltivare i miei interessi di studio. “Perché la storia del territorio?”, mi chiedi. Beh, perché il territorio è un libro le cui pagine possono essere sfogliate da tutti, una sorta di “aula” all’aperto in grado di fornire un’incredibile varietà di esempi che riescono a spiegare – direi quasi a “toccare con mano”- la storia, molto più di quanto non si riesca a fare con un manuale di storia generale.
Quanto ai possibili sviluppi di questo lavoro, devo confessare che non riesco
a vederne un’evoluzione. Per come è organizzato il nostro sistema scolastico, non credo sia oggi possibile coniugare la didattica con la ricerca;
ciononostante sto meditando seriamente di riprendere i miei studi di
antropologia. Perché? Perché la scuola vampirizza gli insegnanti, succhia loro le energie, ma nello stesso tempo richiede loro, quotidianamente, di
comunicare motivazione, desiderio, passione. Ebbene, in questa fase della mia vita di insegnante credo di poter trovare tale spinta solo fuori dalla
scuola.
4. In classe inserisci i tuoi testi nella tua didattica?
Finora ho insegnato Italiano e Latino nel triennio del liceo scientifico, e
dunque mi riusciva difficile inserire i miei testi nel lavoro didattico
quotidiano. Quest’anno invece ho insegnato anche storia al biennio e non
posso negare che mi sarebbe piaciuto adoperare il mio libro; ma comprenderai che per ragioni etiche e professionali ho evitato di farlo, limitandomi a fornire di tanto in tanto qualche fotocopia.
Più frequentemente mi è capitato di realizzare con le classi dei percorsi di ricerca ed approfondimento, stimolati dai miei interessi di studio.
Senza dubbio il più coinvolgente è stato il lavoro incentrato sul Museo
Archeologico di Bari, chiuso al pubblico da oltre 17 anni. Ebbene, già da
qualche anno, con alcune classi del Liceo “Fermi” siamo riusciti a riaprirlo,
se pur solo “virtualmente”, realizzando un sito in cui abbiamo “esposto” le
epigrafi ed alcuni importanti reperti. Visitatelo! Vi si accede facilmente
attraverso il sito della nostra scuola.
5. I tuoi alunni sanno dei tuoi interessi, ne sono in qualche modo partecipi?
Sì, certo. Mi capita talvolta di raccontarmi: non per esibizionismo, ma
perché credo che nella relazione educativa siano imprescindibili due aspetti: l’autenticità, in primo luogo, e poi la disponibilità a mettersi in gioco. A
proposito di gioco: sai che ne ho realizzato uno, insieme ad altri amici
appassionati di storia e archeologia? Si chiama“Nella città senza nome. Come esplorare l’area archeologica di Monte Sannace”: un modo ludico e leggero per accostarsi alla storia della nostra regione. Si impara come erano realizzate le città indigene della Puglia al tempo dei Greci, camminando fra resti di case, tombe ed edifici religiosi, in una splendida cornice paesaggistica, all’ombra di querce secolari e macchia mediterranea.
6. Cosa pensi dell’ambiente culturale in cui i nostri ragazzi vivono nella realtà barese? Credi che la città offra qualche stimolo o che, come accade anche in altri ambiti, si demandi interamente alla scuola il compito di sollecitare i loro interessi?
E’ sotto gli occhi di tutti che le nostre istituzioni culturali, sia nazionali sia locali, siano assolutamente prive di qualsiasi offerta culturale in grado di alimentare o integrare il lavoro svolto dalla scuola. Fatta eccezione per qualche lodevole iniziativa promossa dalla Pinacoteca Provinciale o dal Centro operativo per l’Archeologia di Palazzo Simi, intorno a noi vedo solo il deserto. Non credo sia un caso. Piuttosto, sono convinta che si
tratti di una precisa scelta politica che vede il nostro patrimonio culturale
più come un insieme di beni da depredare e consumare, che come una
straordinaria opportunità di crescita civile e sociale per il nostro paese. Ma
credo anche che si possa -e debba!-reagire a questa tendenza. E, senza
dubbio, un ruolo non irrilevante in tal senso lo ha la società civile,
soprattutto se alimentata da associazioni come “Libertiamoci!”, disseminate su tutto il territorio.