
Il totalitarismo è figlio della mancanza di coscienza politica?
Articolo di Gianfranco Amodio
Immagine tratta dal web
Quella che sta per iniziare è una storia ben nota, raccontata in modi diversi tante e tante volte. Quando però per caso, recentemente, mi è tornata tra le mani, mi è sembrato di leggerla per la prima volta: possibile che le analogie con gli avvenimenti di questi ultimi anni siano così numerose? Così la ripropongo ancora aggiungendo, alla fine, qualche considerazione personale. Gli storici mi perdoneranno le numerose imprecisioni; ai lettori di oggi, però, soprattutto quelli giovani e con passione politica, voglio che arrivi un messaggio: a volte ciò che sembra impossibile accade.
Nel 1919, dopo la fine della 1° guerra mondiale, le potenze vincitrici Francia e Inghilterra impongono alla Germania, sconfitta, una serie di clausole umilianti; tra le altre cose, viene imposto il cambio di regime: il Kaiser e gli altri leader tedeschi devono essere rimossi. Viene allora proclamata la repubblica che si fa forte di una costituzione avveniristica, considerata già all’epoca un modello: il suffragio universale (donne comprese) e il sistema elettorale proporzionale puro sono i suoi punti di forza. Però, nonostante la nascita del primo governo democratico della storia della Germania, i cittadini non sono contenti: le condizioni economiche della nazione, infatti, dopo una guerra disastrosa, sono drammatiche e il nuovo governo non sembra in grado si suggerire soluzioni. Così il conflitto politico interno, nonostante il regime democratico, si irrigidisce e nel 1923 un allora oscuro politicante, Adolf Hitler, tenta a Monaco un colpo di Stato, il cosiddetto “putsch della birreria”. Gli va molto male, molti nazisti muoiono uccisi dalla polizia e Hitler viene arrestato. Durante la detenzione accaddono due cose: Hitler scrive un libro, il Mein Kampf, che contiene tutto il suo programma politico, compresi l’Olocausto e l’attacco violentissimo all’Unione Sovietica, che di lì a poco sarebbe stato, senza esclusioni, messo in pratica. Contemporaneamente, viene completamente rielaborata la strategia per la presa del potere: non più colpi di stato, la strada maestra è l’utilizzo delle vie legali. Passano alcuni anni e nel 1929, dopo un breve miglioramento delle condizioni economiche generali, gli Stati Uniti, che avevano in parte finanziato la ripresa, entrano a loro volta in crisi: la popolazione tedesca ripiomba nella miseria. Dopo una serie di ripetute elezioni (il sistema proporzionale puro garantiva sì una equa rappresentatività di tutte le forze politiche, ma non la governabilità), nella nazione stremata dalla crisi economica, con la disoccupazione al 40% e preda di una instabilità politica apparentemente irrisolvibile (i governi duravano pochi mesi), il confronto politico si estremizza tra due partiti, rappresentati sì in parlamento ma dai modi e programmi ai margini della democrazia: il partito comunista e il partito nazista; quest’ultimo ottiene nelle elezioni più del 30% dei voti. Così, per fare sì che la nazione abbia un governo, alla fine l’ultra-ottuagenario presidente della repubblica, von Hindemburg cede e nomina Hitler cancelliere. Questi, all’indomani dell’incendio del Parlamento (il Reichstag), di cui accusa i comunisti, in breve tempo convince il vecchio e malato Hindemburg a sospendere le garanzie costituzionali e l’anno successivo, alla morte del Presidente, prende su di sè tutte le cariche principali dello stato. Cosa è successo dopo lo sappiamo tutti.
Questa storia, a dire il vero, parla da sola, per cui aggiungo solo alcune brevi considerazioni. Una costituzione garantista e all’avanguardia non è servita a salvare la democrazia; non è servito neanche che Hitler, prima di prendere il potere, si mostrasse apertamente e per iscritto per ciò che era: un nemico dell’umanità. La crisi economica, la disoccupazione e la miseria hanno fatto saltare tutte le categorie, la propaganda estremista non solo non ha prodotto una adeguata reazione nella cittadinanza (che forse non percepiva la minaccia alla propria libertà), ma ha anzi favorito la tragedia. La demagogia ha avuto gioco facile e, alla fine, i tedeschi hanno votato per la propria rovina.
Conclusione: la tragedia collettiva non è così improbabile come spesso si è portati a credere; il cittadino la può impedire, ma un cittadino attento e non sprovveduto, che non rinuncia a vigilare in prima persona, che non abdica ai propri diritti (ad esempio rinunciando al voto) e che si esprime con scelte consapevoli, maturate con impegno, partecipando nel quotidiano alla vita politica del proprio paese.
L’alternativa ve l’ho appena raccontata.
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Pubblico di seguito un commento all’articolo che mi è giunto per mail,
con lo pseudonimo di Oswald Folkestein
“Nulla abbiamo imparato. Le stesse umiliazioni imposte alla Germania dopo la fine della grande guerra oggi le stiamo imponendo alla Grecia. E dal rancore e dalla umiliazione di un popolo sta risorgendo una destra tanto totalitaria quanto stupida. Storicamente credo che la nascita del nazismo non sia ascrivibile esclusivamente al popolo tedesco, che comunque rimane il maggior responsabile delle infamita’ commesse, ma anche della miopia delle potenze vincitrici, che vollero umiliare un popolo vinto. Vedo molte similitudini con la situazione di oggi, dove la stupidita’ degli euro burocrati, che impone condizioni capestro ad una nazione che comunque ha truccato i conti per entrare nell’Euro, sta non solo dando fiato ad un partito neonazista come Alba Dorata ma purtroppo alimentando una fobia anti europea nei cittadini dell’Unione. Come diceva Giuseppe Cesare Abba, nelle “Memorie di un italiano” la liberta’ non e’ pane. Anche il popolo piu’ colto della terra, in preda alla fame, dimentica secoli di civilta’ e cade preda del primo tristo pifferaio”.