
Intervista e foto di Alberto Donadeo a
Francesca Palumbo e Lucia De Marco
Le recenti proteste divampate nelle periferie romane contro i centri di accoglienza per migranti hanno riacceso il dibattito nell’opinione pubblica sul problema dell’integrazione. Tutta la coltre di indifferenza che circondava le tragiche vicende degli sbarchi clandestini sta andando oggi dissolvendosi, spazzata via da nuove e vecchie intolleranze, rabbia sociale e degrado urbano.
Lontane dalle facili retoriche che ingombrano il campo della discussione, una scrittrice e una illustratrice esordiente, trovano a Bari nei tipi della giovane casa editrice Fasi di Luna, l’opportunità di raccontare la propria storia. Nasce così In fondo, scritto da Francesca Palumbo e illustrato da Lucia de Marco, una graphic novel che ci parla di solitudine e affetto, compassione e solidarietà.
Protagonisti sono la piccola Marina, bimba riflessiva alle prese con la paura dell’acqua e del nuoto e Amir, giovane immigrato giunto in Italia. Attraverso un’insperata immedesimazione Marina troverà, grazie al contatto col mondo di Amir, la possibilità di oltrepassare i propri limiti.
Tutti i ricavati dei diritti d’autore dell’opera saranno devoluti all’organizzazione umanitaria Emergency, fondata da Gino Strada.
Abbiamo deciso di intervistare le autrici del libro per conoscere il loro punto di vista.
Alle prime domande risponde Francesca Palumbo, scrittrice e blogger barese, autrice del romanzo Il tempo che ci vuole (Besa), della silloge di racconti Volevo Dirtelo e dell’Instant book La vita è un colpo secco (Atmosphere).
Francesca, perché sei convinta che proprio il linguaggio delle graphic novel rappresenti il veicolo più adatto per rappresentare un tema così urgente come quello delle migrazioni?
In realtà la scelta di condividere le mie idee attraverso la forma narrativa della graphic novel è nata semplicemente da un desiderio: quello di vedere disegnata la mia scrittura e dunque di provare ad affrontare un tema così urgente attraverso un linguaggio altro, un linguaggio che rendesse per immagini le mie emozioni, il mio punto di vista. Volevo in definitiva giocare una sfida con me stessa, misurarmi con una narrazione che affidasse a dei quadri lo status quo, gli interrogativi, l’idea dell’attenzione all’altro da sé e il senso di partecipazione. In realtà, ho già posto le basi anche per un romanzo che sarà pubblicato nei prossimi mesi e che tratterà lo stesso argomento in maniera completamente diversa, ma la graphic mi affascinava come possibilità di raggiungere ogni tipo di destinatario, soprattutto i lettori più giovani, ad esempio i ragazzini che divorano i manga e i bambini che amano i fumetti. Ho pensato che certe situazioni potessero restare più impresse mostrandole come fossero diapositive o foto, in questo caso immagini colorate.
Cosa pensi che il vostro libro aggiunga al dibattito sul tema?
Credo che fondamentalmente l’idea di cambiare il punto di vista e raccontare l’immigrazione dal punto di vista di una bimba di 6 anni, aggiunga al dibattito in corso il senso di una maggiore consapevolezza in generale, perché costringe il mondo degli adulti a dare delle risposte, a soffermarsi con più attenzione sull’urgenza che i bambini ci restituiscono, attraverso le loro domande spesso disarmanti, di comprendere il mondo e i sentimenti che lo muovono. I bambini hanno il potere di inchiodare noi adulti alla verità, alla consapevolezza di ogni parola che pronunciamo, di ogni azione che agiamo, e dunque anche alla colpa dell’indifferenza o dell’assuefazione.
Perché avete scelto di devolvere i ricavati dei diritti d’autore proprio ad Emergency?
Perché Emergency rappresenta una delle associazioni più attive nell’area dell’immigrazione e del disagio sociale. Già da anni ha attivato una serie di ambulatori, anche mobili, per garantire assistenza sanitaria gratuita ai migranti, con o senza permesso di soggiorno, ed è fisicamente presente in Sierra Leone a fronteggiare l’emergenza Ebola con una quantità di medici volontari che mettono quotidianamente a repentaglio le proprie vite per salvare il prossimo.
Alle ultime due domande risponde invece Lucia de Marco, che a seguito di una formazione pittorica presso una bottega barese si appassiona all’illustrazione e giunge con In fondo alla prima esperienza editoriale.
Quali difficoltà hai incontrato nel tradurre in immagini sentimenti complessi come la compassione, la paura dell’altro e la scoperta di una possibile solidarietà?
La maggiore difficoltà sta nell’esprimere emozioni e sentimenti in maniera credibile e coerente fra i volti e i gesti di tutti i personaggi, che in queste favola hanno tutti età e dunque modi di percepire la realtà molto diversi. Marina, coi suoi occhi curiosi di bambina, la mamma donna matura e cosapevole del mondo in cui vive, Amir giovane ragazzo pieno di sogni e allo stesso tempo del carico doloroso della sua storia, e il nonno, dolce e saggio anziano che mette al centro il ricordo e la memoria.
Ciascun personaggio vive in maniera assolutamente soggettiva e personale i momenti di questa storia e la difficoltà è rendere visibile questo punto di vista senza essere eccessivamente didascalici.
Perché il tono delicato e metaforico dei tuoi acquerelli credi possa esprimere la realtà di un dramma così violento e concreto come quello dei naufragi dei migranti?
C’è una maniera di essere gentili anche nel racconto della sofferenza e del dolore. Questa maniera è ciò che ci permette di arrivare ai bambini senza dover occultare immagini molto forti che non negano la violenza della realtà che ci circonda. La delicatezza degli acquerelli era il miglior veicolo per rappresentare il mondo interiore di Marina che sa guardare, porsi domande e astrarre le esperienze vissute per portarle e rielaborarle nel suo mondo di bambina. L’atmosfera a tratti sognante intervallata da momenti di profondo realismo rendono questa storia universale e attuale allo stesso tempo e ci permettono di poter rendere più livelli di lettura: da uno puramente letterale ad uno più simbolico, e dunque abbracciare un pubblico di lettori il più vasto possibile.