REFERENDUM: Perché il SI? Perché il NO?

fotografie di Roberta Giordano

1_inizio_dsc0627-2

Sono questi gli interrogativi che stanno segnando l’attualità dei nostri giorni, che generano domande e risposte da parte di giuristi, politici, intellettuali, ma anche di tanti cittadini e associazioni. Le ragioni di chi vuol cambiare o difendere la nostra Costituzione, sono le une difronte alle altre, in un contradittorio che pone sicuramente le basi, di quello che sarà il futuro dell’ordinamento parlamentare in Italia.

Il Si significa cambiamento; ma è il migliore dei “cambiamenti”?

Il NO che è sicuramente difesa e rispetto di valori fondanti della nostra Costituzione, potrà poi divenire “mutamento propositivo”?

La Costituzione di per sé, è un sano equilibrio di storia, principi e istituzioni, tema centrale di democrazia e politica nella nostra nazione. Ora il ddL-Boschi (Disegno di Legge, approvato il 12 aprile 2016), sottoposto a referendum, ci pone difronte alla scelta se cambiare o meno.

La Scuola di Formazione alla cittadinanza attiva – Libertiamoci, in linea con le proprie finalità statutarie, ha promosso il 20 settembre scorso un dibattito sulle differenti posizioni che stanno animando il dibattito referendario. L’incontro si è svolto presso la Sala Consiliare della Città metropolitana di Bari, ex-Palazzo della Provincia, e ha visto una bella e vivace partecipazione da parte di cittadini attenti e critici.

Relatore per le ragioni del SI, il prof. Ennio Triggiani; per le ragioni del NO il prof. Nicola Colaianni.
Moderatore, per l’Associazione Libertiamoci: Dott. Antonio Garofalo.

Prof. Ennio TRIGGIANI

Prof. Ennio TRIGGIANI

Prof. Nicola COLAIANNI

Prof. Nicola COLAIANNI

Dott. Antonio GAROFALO

Dott. Antonio Garofalo

 

Fermo restando l’invito alla partecipazione, di seguito offriamo una sintesi delle divergenti posizioni, a supporto della scelta consapevole cui siamo chiamati domenica 4 dicembre 2016.

2_dsc0619-4

4_dsc0622-4

5_dsc0604-2

 

11_dsc0626-29dsc0610-6

 

 

 

 

 

LE RAGIONI DEL SI ALLA RIFORMA

1. La riforma è limitata alla parte II della Costituzione (ordinamento della Repubblica): non modifica i Principi fondamentali; non modifica la Parte Prima (diritti e doveri dei cittadini); non modifica la forma dello Stato e di Governo.

2. I punti cardine della Riforma sono: Superamento del bicameralismo paritario; Senato espressione delle istanze degli enti territoriali; la maggior parte delle leggi sarà approvata dalla Camera; tutela delle minoranze e Statuto delle opposizioni; dovere di partecipazione alle sedute; innalzamento del quorum per l’elezione del presidente della Repubblica; modifiche all’elezione dei giudici della corte costituzionale; migliore definizione dei rapporti Stato e Regioni; Soppressione delle Provincie e del CNEL.

3. Approfondendo per superamento del bicameralismo paritario o perfetto s’intende che il Parlamento continuerà ad essere formato da Camera e Senato, ma con composizione e funzioni differenti cd. “bicameralismo differenziato”. Si afferma che se nella UE solo 13 Paesi su 28 hanno una seconda camera, dei 13 solo 5 prevedono l’elezione diretta dei suoi componenti, di questi cinque solo Italia, Polonia e Romania ha poteri legislativi rilevanti e di questi tre solo l’Italia ha gli stessi identici poteri dell’altra Camera. E’ quindi evidente che il bicameralismo perfetto non è imprescindibile garanzia di democrazia.

4. Il Senato della Repubblica passerà dagli attuali 315 membri a 100 (più gli ex Presidenti della Repubblica) e diventerà organo permanente a elezione indiretta (o di secondo grado). Svolgerà funzioni diverse da quello attuale e concorrerà in modo diverso alla funzione legislativa. Esso avrà una funzione di raccordo tra la Stato, altri enti costitutivi e Unione Europea. Funzione legislativa costituzionalmente differenziata; concorso all’elezione diretta del Presidente della Repubblica e di un terzo del CSM. Infine nomina di due giudici costituzionali. Il Senato inoltre potrà sempre chiedere –a maggioranza assoluta– alla Camera di esaminare un disegno di legge: la Camera sarà tenuta ad esaminarlo ed a pronunciarsi entro sei mesi. I senatori mantengono inalterato il loro potere d’iniziativa legislativa.

5. Come si comporrà il nuovo Senato: 74 eletti tra i Consiglieri regionali e delle province di Trento e Bolzano; 21 eletti tra i Sindaci (1 per ciascuna Regione o Provincia autonoma); 5 nominati dal Presidente della Repubblica (per sette anni non rinnovabili); ex Presidenti della Repubblica. Come verranno eletti i senatori? Da una legge ad approvazione bicamerale, impostando l’elezione su base proporzionale e promuovendo l’equilibrio tra donne e uomini. I senatori saranno eletti dai rispettivi Consigli, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri: secondo modalità definite nella futura legge elettorale del Senato; fino a quel momento i Consigli eleggeranno direttamente al loro interno i senatori. Inoltre i senatori di nomina presidenziale (in carica 7 anni) non saranno rinnovabili e non avranno alcuna indennità.

6. La tutela di minoranze e opposizioni, viene prevista attraverso la garanzia dei diritti delle minoranze parlamentari; la garanzia riguarderà sia la Camera che il Senato; le modalità saranno definite dai regolamenti parlamentari. Lo Statuto delle opposizioni, verrà disciplinato dal regolamento della Camera e riguarderà solo la Camera, perché unico ramo del Parlamento a dare la fiducia al Governo.

7. Per quanto riguarda il dovere di partecipazione alle sedute, i parlamentari avranno costituzionalmente l’obbligo di partecipare alle sedute delle assemblee ed ai lavori delle commissioni.

8. Le novità sulla partecipazione dei cittadini riguarda, innanzitutto, il referendum abrogativo. Con la riforma la regola attuale (500.000 firme per il referendum e il quorum del 50%+ 1 degli aventi diritto per la validità della consultazione) rimane valida ed in più in caso di raccolta di 800.000 firme, il quorum sarà dato dal 50% + 1 dei votanti alle ultime elezioni della Camera.

9. Per i progetti di legge d’iniziativa popolare: ora richiesta di 50.000 elettori e nessuna garanzia di esame parlamentare; ora richiesta di 150.000 elettori e Camera e Senato saranno obbligati a discutere e deliberare. Nasce poi una nuova forma di proposta legislativa che è il referendum popolare propositivo, condizione ed effetti del quale saranno stabiliti con legge costituzionale.

10. Altra novità sulla partecipazione dei cittadini è il referendum d’indirizzo, non del tutto nuovo già utilizzato nel 1989 per attribuire mandato al Parlamento europeo diretto a redigere un progetto di Costituzione europea. Condizioni ed effetti anche qui stabiliti con legge costituzionale e le modalità di attuazione saranno definite con legge bicamerale. Infine rimangono sostanzialmente invariate le competenze tra Stato e Regioni.

LE RAGIONI DEL NO ALLA RIFORMA

1. Non si cambia la Costituzione a stretta maggioranza, quella governativa

La nostra Costituzione, pur implicando un cambio di regime, della forma di Stato e di quella di governo, fu approvata con quasi il 90% dei voti. La riforma attuale è stata approvata con il 55%, addirittura un po’ di meno di quelli serviti per la maxiriforma precedente, quella del governo Berlusconi, poi bocciata nel referendum di dieci anni fa. Con maggioranze così striminzite la Costituzione diventa una legge qualsiasi in mano alla maggioranza governativa. “Abbiamo i numeri”, hanno detto i suoi sostenitori. Ma allora è una Costituzione dei vincitori: chi vince le elezioni diventa proprietario delle istituzioni.

2. La Costituzione è stata riformata da una maggioranza fittizia

Ma c’è di più: la maggioranza del 55% è fittizia perché gonfiata dal premio di maggioranza previsto dal sistema elettorale Porcellum dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale. Il Parlamento non ha dato esecuzione a questa sentenza: e si capisce perché altrimenti la maggioranza avrebbe dovuto assegnare alle minoranze (5stelle, Forza Italia, ecc.) tutti i seggi ottenuti grazie al premio illegittimo e la riforma non sarebbe passata. Così una maggioranza che, al netto di quel premio, è in effetti una minoranza ha riformato ben 40 degli 85 articoli della seconda parte della Costituzione .

3. La riforma intacca la sovranità popolare impedendo l’elezione dei senatori

Si dice che la prima parte, quella dei diritti, non è stata toccata. In realtà la riforma deroga di fatto proprio all’art. 1 della Costituzione, secondo cui “la sovranità appartiene al popolo”. Infatti, il Senato non sarà più eletto da noi cittadini, ma dai consiglieri regionali. E neppure proporzionalmente ai voti dei cittadini giacchè le vigenti leggi elettorali regionali hanno prevalentemente carattere maggioritario. Peraltro, il nuovo Senato sarà composto dagli stessi consiglieri regionali e da un sindaco per ogni Regione, eletti in base ad appartenenze partitiche e quindi senza vincolo di mandato da parte delle istituzioni. Questi senatori part time – ma con piena immunità parlamentare, come i deputati – sono l’emblema di un organo costituzionale privo, come una Città Metropolitana qualunque, dell’investitura popolare.

4. La riforma accentra i poteri nello Stato a scapito delle Regioni

Il nuovo Senato non rappresenta più – come ora, insieme alla Camera – la Nazione, cioè tutti noi cittadini, ma solo le “istituzioni territoriali” (Regioni, Comuni). Dovrebbe funzionare, quindi, da organo di intermediazione e coordinamento tra stato ed istituzioni locali. Ma in realtà sarà privo di poteri effettivi perché il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni è sbilanciato a favore dello Stato. Questo, infatti, ha una competenza esclusiva su equivoche “disposizioni generali e comuni” in una serie di materie (governo del territorio, istruzione, salute, politiche sociali, sicurezza alimentare, attività culturali e turismo). Inoltre, su proposta del Governo, la Camera può intervenire anche in tutte le altre materie quando ravvisi esigenze di tutela non solo dell’unità giuridica o economica della Repubblica ma anche di un asserito “interesse nazionale”. Le Regioni vengono ridotte così a poco più che organi integrativi dello Stato, se non proprio amministrativi (e il fatto che negli anni questa deriva sia stata realizzata dalle stesse Regioni non pare una buona ragione per ridurne anche formalmente il potere legislativo). Vengono fatte salve però quelle a statuto speciale: e che la Sicilia o il Friuli debbano continuare ad essere privilegiate rispetto alla Puglia o alla Lombardia appare davvero sconcertante.

5. La riforma non semplifica ma complica l’azione legislativa

La fine del “bicameralismo perfetto” non produrrà una semplificazione dell’azione legislativa. Non è vero che finirà il ping-pong delle leggi da una Camera all’altra. Il Senato, infatti, continuerà a svolgere insieme alla Camera funzioni riferite alla legislazione statale e perfino alle riforme costituzionali ed eleggerà in proprio due giudici della Corte costituzionale (mentre i 630 deputati ne eleggeranno solo tre: una sproporzione ingiustificabile). E avrà inoltre possibilità di intervento – talvolta eventuale, talaltra obbligatorio e pure rafforzato – anche nel procedimento legislativo monocamerale. Si tratterà, certo, di un potere in definitiva impari nei confronti della Camera, che avrà in tutti i casi l’ultima parola. Tuttavia, è evidente l’inedita e pasticciata complicazione di procedimenti legislativi (se ne contano sette).

6. La riforma non rende più efficiente il sistema

Che il sistema attuale non sia abbastanza “decidente”, se non al costo di “inciuci” di ogni genere, è in buona misura propagandistico: se la maggioranza è coesa i tempi sono rapidi, tanto che l’attuale governo, pur frutto di una maggioranza raccogliticcia, si vanta (giustamente, a parte la discutibilità del merito) di aver approvato in due anni leggi che non si approvavano da venti: dal mercato del lavoro alla pubblica amministrazione, dalla Rai al sistema elettorale, alla stessa riforma costituzionale, perfino alle unioni civili. Ma, ammesso che non basti, la via più efficace per aumentare la governabilità è il monocameralismo, effettivamente preferibile se accompagnato da forti contrappesi, come ad esempio una legge elettorale proporzionale, eventualmente con sbarramento.

7. La riforma non abbatte i costi della politica

I costi della politica non giustificano il declassamento di un organo costituzionale. Ma comunque essi vengono ridotti in maniera non significativa. Il Senato costa, infatti, 530 milioni all’anno ma di questi solo 79 riguardano le indennità dei 315 senatori e 21 le spese per i gruppi parlamentari. Il resto sono spese fisse (stipendi dei dipendenti e costo dell’organizzazione), che rimarranno in piedi. Il risparmio sarà di soli cento milioni all’anno: una cifra irrisoria se si pensa che solo per fare il referendum sulle trivelle in un giorno diverso dalle elezioni amministrative – all’evidente scopo di non agevolare il raggiungimento del quorum – sono stati spesi 300 milioni.

8. La riforma si combina dannosamente con la legge maggioritaria Italikum

A dare la fiducia sarà solo la Camera: e questo va bene, visto che sarà l’unico organo ad investitura popolare. Ma occorre considerare che, per effetto del sistema elettorale Italikum a forte effetto maggioritario, la maggioranza di 340 seggi sarà di una sola lista: quella che avrà ottenuto almeno il 40% dei voti o, se di meno, avrà prevalso nel turno di ballottaggio. Una maggioranza, quindi, oltre che sproporzionatamente sovradimensionata rispetto all’effettivo consenso elettorale ricevuto, di fatto obbligata, se vuole durare fino alla fine della legislatura (come sta accadendo alla maggioranza attuale), a dare la fiducia a chi in realtà è il suo padrone: il governo e il suo capo.

9. La riforma affida al Governo il controllo dell’attività legislativa della Camera

Il controllo pieno del governo sulla maggioranza della Camera si manifesterà ancor più nell’esercizio dell’attività legislativa. Già ora esso ha la possibilità di utilizzare i decreti-legge e i voti di fiducia anche su materie non rientranti nel suo programma (come di recente sulle unioni civili). E’ agevolato, inoltre, da forzature regolamentari come il contingentamento dei tempi di discussione e i maxiemendamenti o emendamenti–canguro, che vanificano l’obbligo costituzionale di approvare le leggi articolo per articolo. La riforma aggiunge ora il voto con priorità e a data certa (70 giorni) sui disegni di legge dichiarati dal governo come “essenziali per l’attuazione del suo programma”. La Camera diventerà, in sostanza, prevalentemente un organo di ratifica dell’operato del governo.

10. Un premierato assoluto con indebolimento dei contrappesi

Per riepilogare: a) la funzione legislativa si sposta in una serie di materie nominate, e anche nelle altre tutte le volte che il Governo ravvisi un interesse nazionale, dalle periferie al centro; b) qui, nella stragrande maggioranza dei casi, la competenza esclusiva a legiferare è della sola Camera, la cui maggioranza – grazie al sistema elettorale fortemente maggioritario – è della lista governativa; c) perciò a gestire gli equilibri, cominciando dall’ordine del giorno, è il Governo e, in particolare, il suo capo, leader della lista di maggioranza. Questa vertiginosa concentrazione di potere – una forma di premierato assoluto – sarà favorita poi dall’indebolimento degli attuali contrappesi. La diminuzione del numero dei parlamentari determinerà, infatti, un forte abbassamento dei quorum previsti per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti del CSM (da 570 voti a 438, destinati ad abbassarsi se calcolati sui soli votanti) e dei giudici costituzionali (da 570 ad appena 60 per quelli eletti dal Senato e a 378 per quelli della Camera, praticamente alla portata dei 340 voti della lista di maggioranza).

Molti di questi difetti vengono riconosciuti dagli stessi sostenitori della riforma, che tuttavia li minimizzano come semplici limiti o imperfezioni tecniche, modificabili successivamente. Si tratta di vere e proprie disfunzioni, come s’è visto. Ma in ogni caso non v’è motivo o necessità di accettare un prodotto, che già si sa essere difettoso, solo perché ne va del futuro del governo. Non si può confondere il piano della Costituzione con quello della politica di governo e trasformare il referendum in un plebiscito a suo favore o contro. D’altro canto, la previsione di modifiche, nel momento stesso di approvarla, riduce la Costituzione ad una legge tra le altre, transitoria e priva di “superiorità – come disse Aldo Moro all’Assemblea Costituente – di fronte alle effimere maggioranze parlamentari”. Sono meditate ragioni di metodo e di merito quelle che motivano il NO. Non si può cambiare una Costituzione riservandosi di vedere l’effetto che fa.

_dsc0631-2

_dsc0632-2

_dsc0638-2

_dsc0661-2

_dsc0642-4

_dsc0640-2

_dsc0663-3

_dsc0691-3

_dsc0684-3

_dsc0674-2

_dsc0671-4

_dsc0669-2

_dsc0605-2

_dsc0602-2

_dsc0601-2

_dsc0600-3

_dsc0599-2

_dsc0595-3

_dsc0594-2

_dsc0592-2

_dsc0591-1

locandina_referendum_senato_v4 dibattito-referendum-su-gazzetta

© 2016 Libertiamoci.Bari.it - Ass.Cult. “Scuola di Formazione alla Cittadinanza Attiva – Libertiamoci” - Sito realizzato da Barikom. Top