
Articolo di Donatella Albergo
Fotografie di Roberta Giordano
C’è un momento dell’anno, a Bari, nel Borgo Antico, in cui l’aria profuma di vin cotto, cannella e mandorle amare e da un’antica bottega, avventori con le borse piene sembrano uscire insieme a una leggera nebbiolina di zucchero a velo. Allora ti accorgi che Natale non è lontano, anticipato dal pungente odore di sgagliozze e popizze, misto alla cioccolata fumante nelle umide albe del 6 dicembre, San Nicola.
Il cuore dei dolci natalizi baresi è una bottega che ha più di 150 anni, alle porte del Borgo Antico e del sagrato della Cattedrale, in Piazza dell’Odegitria. Appartiene alla famiglia Sifanno da quattro generazioni e ci lavorano, insieme al padre Mincuccio (Domenico), i cinque fratelli Gennaro, (u grann), Vito, Franco, Gino, Pasquale, la sorella Rosa e la nipote Giada. Ma sotto Natale otto paia di braccia non bastano a smaltire la folla che fin dalle prime ore del mattino si accalca nella bottega. Sembra una grotta zeppa di tesori, la grotta con la lampada di Aladino, la bottega che da un secolo e mezzo ha tutto per preparare i dolci dei baresi. Il cioccolato è richiestissimo e sempre di ottima qualità: bianco, al latte, amaro, nocciolato, fondente, gianduia, in polvere, scaglie, barrette, tavolette, dischetti, da sciogliere o da ricoprire. Alla menta, al peperoncino, alla liquirizia…
<<Nel febbraio del 1865, quando fu fondata da Francesco Bitetto, “U marnarid” era una fabbrica di dolci e confetti – ci dice Franco Sifanno che ci fa da guida – Poi si è trasformata in un negozio per la vendita di prodotti vari richiesti e spediti in tutta Italia. Pepe e legumi le specialità, ma soprattutto il pepe, dolce, fresco, profumato, rigorosamente in grani, perché purtroppo nella macinatura ci mettono di tutto! La fragrante qualità Teliscerry veniva spedita in ogni parte del giovane Regno d’Italia nei mesi estivi, appena raccolto>>. Da tutta la Regione la gente si recava a “U marnarid” per acquistare a buon prezzo prodotti altrimenti introvabili, specialmente le spezie. “Vid a U Marnarid, ca u jacch!…”. Dopo due generazioni dei Bitetto, in bottega subentrò la famiglia Sifanno: Mincuccio, all’età di sei anni, fu quasi preso in adozione dalle figlie del fondatore e nel 1973 ebbe l’attività completamente nelle sue mani, dando origine in negozio alla dinastia dei Sifanno.
La fortuna della bottega fu anche il suo nome: Francesco Bitetto, fu “u marnarid” perchè abitava la zona antistante il porto, dove attualmente c’è il ristorante “Il Gambero”. Quella zona, bordata da due scalinate, veniva chiamata “sus a la marnarì” perché abitata da gente di mare, pescatori e marinai dei mercantili che animavano il porto e che facevano cambusa dalla fornitissima drogheria che diventò del “Marnarid”. Anche un figlio dei Bitetto fu ufficiale della Regia Marina Mercantile, ricordano ancora con orgoglio in bottega.
Sono tanti i ricordi che Franco ha ancora impressi e che mi ha raccontato emozionato: soprattutto la commozione di chi, emigrante da decenni in Germania o in America, è poi ritornato in negozio e ha pianto, ritrovando odori, sapori, mobili, etichette, insegne dell’infanzia lontana. Franco ricorda ancora quando le mamme andavano in bottega, portando il piccolo per controllarne la crescita sulle bilance a due piatti in ottone “du marnarid”. Le bilance avevano il primo bollo del 1888, certificazione che l’Ufficio Metrico rilasciava dopo aver controllato che gli strumenti di misurazione per il pubblico non fossero contraffatti. Certe volte quelle mamme non compravano nulla, ma per i Sifanno bastava un loro sorriso ad occhi bassi…
Conosco Franco attraverso il volontariato e i mille modi di essere presente in città, sempre vicino agli esclusi: alla cena in stazione per i senza fissa dimora, ma anche in cattedrale per la distribuzione di indumenti puliti, per assicurare una doccia calda a chi non ne ha la possibilità, o per trovare un posto che non sia la strada dove dormire… Franco, spesso aiutato da sua moglie Nicoletta in questo sostegno agli esclusi, è sempre alla ricerca di un medico che curi la dissenteria o cavi un dente a chi non ha la tessera sanitaria, alla caccia di piatti caldi per chi non ha cucina o di una cucina per chi ha una stanza ma nient’altro. Con le loro chat cercano un posto-letto o un corredino per un nuovo arrivato o un’aspirina o un paio di scarpe e le mille cose di cui ha bisogno chi non ha nulla. Si ispirano all’insegnamento di Luigi Maria Grignion di Montfort, il santo missionario che fra il Sei e Settecento dedicò la sua vita agli ultimi del mondo. Tutti conoscono Franco in stazione o in cattedrale o nei dormitori e lui tutti conosce, faccia per faccia, nome per nome…
Così ho incontrato Franco, in stazione con Nicoletta e la loro cagnolina Dafne, mentre, sempre sorridente, metteva ordine fra le cento mani, bianche e nere, che prendevano un piatto fumante. Ancora ho nelle orecchie il suo “Impariamo a dire grazie!”, detto sollevando il mento con la barba ispida e brizzolata per poterli guardare tutti con un unico sguardo…
Franco è anche questo, non solo “U marnarid”