“La città è un libro aperto che racconta una storia tutta da scoprire”

intervista di Antonio Garofalo a  Rossella Mauro

Partendo da un progetto, ideato dalla nostra associazione e non realizzato, “Tracce di Storia nel mio Quartiere”, a causa del Covid-19, ho sentito la necessità di farlo “ripartire” idealmente, con chi studia e vive la città di Bari, descrivendola, nelle sue bellezze. Parlo di Rossella Mauro insegnante e scrittrice. Questa intervista poi mi ha dato lo spunto per parlare, con lei di “scuola elementare” e dell’esperienza “irreale” e inaspettata di quest’anno vissuta dai bambini.

Il “distanziamento interpersonale” imposto dal coronavirus, ha determinato il “vuoto” non solo della comunità, compresa quella educativa, come la scuola di ogni ordine e grado, ma anche di alcune iniziative che erano state pensate proprio per la didattica.

“Tracce di storia nel quartiere” è una di queste. Promossa dalla scuola di formazione alla cittadinanza attiva “Libertiamoci”, con il patrocinio del Primo Municipio di Bari e dell’UNICEF avrebbe dovuto riappropriarsi e rivitalizzare alcuni “elementi smarriti”, come è stato scritto nella presentazione di tale evento. Un progetto pensato per le scuole medie a cui poi si sarebbero aggiunte le scuole elementari, pensate per i quartieri del Municipio I, tra cui appunto Libertà, Murat e altri.

“Negli anni che viviamo, sempre più frenetici e convulsi, si corre il rischio di incorrere nella superficialità e nel disinteresse, dimenticando le proprie radici e le capacità di analizzare consapevolmente il presente e il vicino che sono il risultato di un lontano. Partendo dalla convinzione che conoscere sé stessi, i luoghi di appartenenza e le proprie radici sia il primo passo per la condivisione, l’apertura mentale e l’accoglienza, il progetto prova a risalire, attraverso la scoperta di tracce di una storia “minore”, alle coordinate del nostro tempo”.

E’ chiaro che per il prossimo anno scolastico, in “presenza”, le finalità di tale progetto sono tutte pronte per essere realizzate: guidare i giovani nella comprensione del valore storico e artistico di elementi architettonici, scultorei, grafici e di varia natura presenti nel quartiere. Promuovere la ricerca e l’analisi degli elementi storico-artistici dei beni culturali, anche minori. Promuovere messaggi di comunicazione sociale. Stimolare la creatività e l’espressione artistica. Guidare gli studenti nel passaggio dalla conoscenza degli elementi osservati al rispetto del quartiere, della città, del Paese, del mondo.

Io penso che per parlare di scuola e della storia del proprio quartiere, non c’è persona più appropriata di Rossella Mauro, laureata in pedagogia, insegnante di scuola elementare e autrice di libri, due su tutti, “speculari” tra loro: “A spasso per Bari Vecchia” e “A spasso per Bari nuova”, per ragazzi e più piccoli.

Com’è stato quest’anno scolastico nella scuola elementare dove insegni?

Sicuramente l’anno scolastico appena concluso sarà ricordato nella storia come il primo anno in cui una “relazione educativa” è avvenuta a distanza. Distanza e relazione: due termini non complementari, anzi all’antitesi. Proprio perché persone, non possiamo immaginare la relazione senza il coinvolgimento fisico di tutto il nostro essere: la parola si modula afferrando la risposta di chi ascolta e la risposta è non solo nella parola, ma anche e soprattutto nello sguardo e in tutto il corpo che tende all’altro. Quante volte, durante una videolezione, dall’altro capo del monitor scorgevi chi tranquillamente era sprofondato in un divano o consumava una merenda o parlava con la mamma che in quel momento passava nella stanza! (quando non si sostituiva all’alunno!) E non poteva la voce dell’insegnante o il suo sguardo o una carezza richiamare l’attenzione … perché? Perché era semplicemente DISTANTE. E la distanza fisica poteva facilmente trasformarsi in una distanza delle menti o del cuore. Nella nostra scuola, come in tutte le scuole, all’inizio ci si è trovati tutti un po’ impreparati. L’informatica era già entrata nella didattica, nel nostro istituto quasi tutte le classi sono fornite di LIM. Si era, però, impreparati all’uso delle piattaforme e delle classi virtuali. Dopo il primo disorientamento, i docenti si sono attrezzati per rispondere alle nuove esigenze. La quasi totalità degli alunni è riuscita a seguire le lezioni a distanza con computer, tablet o semplici cellulari.

Inoltre, noi docenti abbiamo compreso che era importante prestare attenzione agli stati d’animo, ascoltare i racconti degli alunni che vivevano una situazione inaspettata quanto inadatta alla loro età e non solo.

Sono nati allora dei progetti che hanno cercato di coinvolgere emotivamente gli alunni: scrivere filastrocche sul Covid o raccontare la nuova vita da reclusi. Alcune classi hanno partecipato virtualmente ad una gita ad Urbino organizzata dall’Università di quella città. Si è lavorato, insieme ad altre classi, per progetti comuni: è stato realizzato un padlet su San Nicola, abbiamo terminato il progetto Palimpsest con l’Università di Bari che ha visto i bambini raccogliere la testimonianza dei nonni per recuperare antiche tracce narrative sulla città. Infine, più classi hanno partecipato attraverso un gioco virtuale creato dai docenti, ad una caccia al tesoro per le vie della città vecchia.

Scuola a “distanza” ovvero “in presenza”: possono a tuo avviso coesistere? Quale il tuo punto di vista?

Nel momento in cui la scuola avviene “in presenza” non credo ci sia bisogno di “distanza”. Ovviamente l’uso di alcuni programmi o di piattaforme può migliorare alcuni lavori scolastici. Penso, per esempio, al gemellaggio con un’altra classe e all’utilizzo di zoom per una videoconferenza.

Cosa fare nel prossimo anno scolastico per rigenerare una “comunità vuota”, come da più parti è stata definita quest’anno la scuola, compresa quella media ed elementare?

Bisognerà ripartire da una riflessione sul momento storico che abbiamo vissuto, analizzare le emozioni e i sentimenti provati nel periodo di chiusura. È fondamentale ripartire dalle relazioni. La lontananza ne ha fatto comprendere il valore e la necessità. In una comunità scolastica così rinsaldata, si può creare quel clima positivo che è alla base del processo di apprendimento e da cui nasce di conseguenza la “voglia di scoprire” e di scoprire “insieme”.

“Tracce di storia nel proprio quartiere”: quanto secondo te a livello didattico si investe sui luoghi “emblematici” o significativamente “minori”, in termini di storia e ricerca di elementi artistici, culturali, che parlano attraverso i nostri quartieri, della storia di Bari?

Negli ultimi anni fioriscono sempre più proposte didattiche attente alla storia della città. Da parte mia ritengo che attraverso la storia locale si possa comprendere meglio la storia generale. La nostra storia è un frammento della storia dell’umanità, per questo, costruendo la propria identità culturale si possono riconoscere le altre identità culturali e, tramite il confronto, individuare analogie e differenze. Durante la mia carriera professionale ho sempre insegnato storia partendo dal vicino sia che fossi al San Paolo o al quartiere Libertà o nel Murattiano. Credo che negli ultimi anni si siano fatti numerosi passi avanti. Le nuove generazioni conoscono meglio Bari, alcune vicende legate alla sua storia, i suoi monumenti. Venti anni fa, quando ho scritto il mio primo libro “A spasso per Bari vecchia”, molti baresi avevano paura a metter piede nel centro storico. Ora non è più così: molti docenti approfondiscono con gli alunni la storia locale e ai ragazzi piace entrare nella città vecchia per una lezione dal vivo. Sì, perché Bari vecchia e così tutta la città è una grande aula all’aperto. Ancora molto c’è da fare perché la storia locale entri nel curricolo di studio a pieno titolo: corsi di approfondimento per i docenti, maggior numero di ore per laboratori storici, flessibilità e apertura all’interdisciplinarietà.

Ma io sono ottimista e credo che un po’ di amor proprio sia scattato nei baresi.

E infine: quale consiglio dare ai più piccoli e ai ragazzi, durante queste vacanze, appena iniziate?

Il mio consiglio per le vacanze? Guardarsi intorno e farsi prendere dalla curiosità di scoprire ogni dettaglio. Osservare con occhi nuovi quello che ci sta davanti e chiedersi: perché è lì? da quanto tempo? chi lo avrà messo? … e porsi mille domande ancora.

E poi? Cercare delle risposte.

Perché la città è un libro aperto che racconta una storia tutta da scoprire.

                  

 

 

 

Costituzione e cittadinanza: prova d’esame superata

Promosso alla fine del percorso didattico e scolastico 2019/2020, un incontro virtuale con discenti (maturandi) e docenti. L’esperienza della Scuola di Formazione alla cittadinanza attiva “ Libertiamoci” con alcuni Licei di Bari, Molfetta e Altamura.
(a fine articolo i link per visualizzare le interviste)

La parola “cittadino” si riempie di contenuti quando si scoprono e coltivano i diritti che esserlo realizza, come i doveri che immancabilmente siamo chiamati a compiere.

D’altro canto non basta dire di essere un bravo cittadino, se poi non si costituisce insieme ad altri la partecipazione, la sensibilità al benessere comune e una cultura civica che deve essere patrimonio di tutti.

Siamo sempre stati convinti come associazione che gettare tale seme in un terreno fertile, quale quello della scuola, potesse dare sempre tanti e buoni frutti.

E’ ciò che si è fatto, con l’iniziativa promossa dalla Scuola di formazione alla cittadinanza attiva Libertiamoci che si è sviluppata con la partecipazione di alcuni licei di Bari (Salvemini, Scacchi, Fermi), di Molfetta (Rita Levi Montalcini), Altamura (Federico II di Svevia) e proseguirà, nel futuro me lo auguro con altre scuole.

Il tema è “Costituzione e Cittadinanza”, materia che quest’anno costituirà prova di esame di Stato.

Cosa ha realizzato tale progetto. Abbiamo promosso alla fine del percorso didattico e scolastico 2019/2020, un incontro virtuale con discenti (maturandi) e docenti, sull’argomento di cui si è detto. Materia, come i docenti interpellati hanno ribadito, che abbraccia molteplici discipline, in particolare: diritto, storia e filosofia.

Abbiamo posto alcune domande, ai discenti e docenti, che hanno mosso riflessioni e considerazioni, più che significative, sul percorso formativo intrapreso.

Interrogativi che hanno innestato un proficuo dibattito a tutto vantaggio di chi, come noi, si è sintonizzato all’ascolto degli intervistati.

Per ogni scuola che ha aderito, è stato creato un video, quale documento qualificato di confronto, dialogo, discussione, sul tema della Carta fondamentale dello Stato e della cittadinanza, ascoltando, coloro su cui si innesterà il cammino futuro della nostra società.

La nostra associazione, è sorta nel 2013 e ha sempre avuto come finalità quella di trasmettere soprattutto ai più giovani il valore autentico dell’essere cittadini. Gli eventi, dibattiti, incontri con e per i cittadini, progetti e iniziative nelle scuole, approfondimenti formativi, di denuncia e miglioramento dell’ambiente urbano e non, come potremmo ben dire la storia delle nostre attività, è tutta racchiusa nel blog Libertiamoci.Bari.it

“Costituzione e cittadinanza”, poi, collegata ai programmi del M.I.U.R. , si coniuga con i propositi previsti dal nostro statuto. E’ vero lo dice bene la legge ispiratrice di tale nuova disciplina: “non si può prescindere da una Scuola quale laboratorio permanente di partecipazione e di educazione alla Cittadinanza attiva”… Ne siamo più che convinti e ne abbiamo toccato con mano i risultati. E di questo va dato merito all’impegno e professionalità degli insegnanti. Su tale disciplina, superfluo è il ribadirlo, andrebbe investito, anche nei prossimi anni.

Sappiamo quanto per gli studenti, quest’anno scolastico, il “presente”, sia e continua ad essere denso di difficoltà, di quanto costa non relazionarsi emotivamente tra di loro e con gli educatori. E di tante altre cose che mancano nella scuola a distanza. Ecco perché è indubbio, il modo positivo di come proprio i giovani stanno superando tale emergenza. Una vera e singolare lezione di cittadinanza attiva, oltre che già di maturità.

Sarà anche perché l’attualità sta dimostrando come sia sempre più avvertita l’idea e la consapevolezza di appartenere ad una comunità. Di come l’azione dei singoli e i comportamenti di ciascuno di noi debbano essere partecipati, solidali, consapevoli per il benessere comune.

Cos’è quindi la cittadinanza attiva. E’ l’idea di appartenere a una collettività (politica, sociale), condividerne i valori, rendere concrete delle azioni che possano migliorare la società stessa. Soprattutto impegnarsi a farlo insieme ad altri cittadini.

All’indomani della seconda guerra mondiale, subito dopo la nascita della Repubblica, nonostante il momento non facile del nostro Paese, innanzitutto cittadini come noi, eletti in una commissione costituente, partendo proprio da una coscienza comune, e pur provenendo da una storia politica diversa, opposta in molti casi, diedero vita alla Costituzione. Oggi oltre che applicarla, si studia, si legge, si cita frequentemente: non abbiamo dubbi, perché continua ad essere una bussola, in grado di orientarci in qualsiasi momento.

L’unicità della Costituzione, la sua bellezza, per quella che è la mia esperienza, anche associativa, è data dal fatto che al suo interno c’è un sapere e un sentire, che oltre ad essere conoscenza e sentimento, e anche amore, da parte di chi l’ha scritta. Qualcosa che noi adulti, docenti e non, genitori e non, dovremmo essere bravi, cari ragazzi, a trasferirvi. Perché se riuscissimo tutti a far camminare le nostre idee, le nostre azioni politiche, che sono anche scelte di vita, su questi due binari, avremmo una società più giusta e sicuramente migliore.

Non posso concludere tale intervento se non con dei ringraziamenti a tutti coloro, docenti e discenti, che hanno partecipato e che parteciperanno, offrendo la loro disponibilità e impegno. I miei complimenti vanno, inoltre, alla prof.ssa Bianca Maria Fanti per “intuizione e regia” dell’iniziativa; alla prof.ssa Donatella Albergo per come ha animato e condotto il dibattito con i ragazzi e le loro insegnanti, non era facile; alle prof.ssa Giuseppina Perrini per aver divulgato e promosso in modo più che significativo tale idea fuori dei “confini cittadini” e alla dott.ssa Teresa Scolamacchia per partecipazione e supporto. Complimenti, tale idea di cittadinanza attiva, non può che portarci lontano.

Antonio Garofalo
(Presidente dell’Associazione “Libertiamoci”

Intervista con docenti e studenti del Liceo Scientifico “E. Fermi” di Bari
sul percorso di studi riguardante il tema di Cittadinanza e Costituzione
Insegnanti: Francesco Trocino
Studenti: Gabriele Ciavarella e Giulia Carone

 

Intervista con docenti e studenti del Liceo Scientifico O.S.A. “Rita Levi Montalcini” di Molfetta /Ba
sul percorso di studi riguardante il tema di Cittadinanza e Costituzione
Insegnanti: Ignazio Minervini
Studenti: Antonio Tempesta e Angelo Alberto Iannone

 

Intervista con docenti e studenti del Liceo Scientifico e Linguistico Statale “Federico II di Svevia” di Altamura /Ba
sul percorso di studi riguardante il tema di Cittadinanza e Costituzione
Insegnanti: Mariella Giannuzzi e Nunzia Cacciapaglia
Studenti: Elena Rinaldi e Teresa Lella

 

Intervista con docenti e studenti del Liceo Scientifico Statale “A. Scacchi” di Bari
sul percorso di studi riguardante il tema di Cittadinanza e Costituzione
Insegnanti: Nunzia Leporino e Maria Laura Fusillo
Studenti: Mauro Vigilante, Martina Losito, Francesco Neglia

 

Intervista con docenti e studenti del Liceo Scientifico Statale “G. Salvemini” di Bari
sul percorso di studi riguardante il tema di Cittadinanza e Costituzione
Insegnante: Anna Maria Mercante, docente di Filosofia e Storia.
Studenti: Francesco Genchi, Francesco Buongiorno, Viviana Campanello, Ivana Nuzzaco.

Dalla parte degli oppressi

Articolo scritto da Maurizio Moscara

Abdullah era sudanese, viveva a Caltanissetta con la sua famiglia. Era arrivato in Italia nel 2005 quando aveva 38 anni perché laggiù, nel suo paese, le cose non andavano per niente bene. Qui aveva ricominciato una vita, mettendo su una dignitosa famiglia con una ragazza conosciuta in Italia. Abdullah faceva parte di quel proletariato agricolo stagionale che si sposta di regione in regione a seconda, appunto, del periodo dell’anno e dello stato di maturazione dei prodotti ortofrutticoli. Tecnicamente viene definita manodopera a basso costo. Nell’era antica si chiamava, invece, più propriamente, servitù della gleba. Eh sì: perché Abdullah lavorava per 12 ore al giorno guadagnando poco più di venti euro: quasi due ero all’ora per spezzarsi la schiena tutto il giorno sotto il caldo rovente del solleone estivo, senza riposo settimanale (perché bisognava sfruttare al massimo tutto il periodo della avvenuta maturazione) e con una ridotta pausa giornaliera, giusto il tempo di consumare un frugale pasto. Il 20 Luglio del 2015 era il suo primo giorno di lavoro in Puglia, nelle campagne di Nardò. Nessun contratto di lavoro da firmare, nessuna visita medica da effettuare, solo qualche svogliata parola pronunciata con irritante indolenza dal caporale di turno: una bocca impastata di fumo e di birra per spiegare in cosa consistesse il lavoro di quel giorno. Parole buttate al vento perché Abdullah è morto qualche ora dopo, con la schiena piegata dalla fatica e il cuore spaccato dai 42 gradi delle due del pomeriggio. Abdullah, quel giorno, aveva 47 anni.

E, siccome sfruttamento e oppressione non fanno differenza tra italiani e non, la stessa sorte era toccata una settimana prima ad una donna italiana, Paola Clemente, 49 anni, nelle campagne di Andria, intenta a lavorare alla acinellatura dell’uva. Medesimo destino è spettato poco meno di un anno fa a Daniel Nyarko, ghanese, assassinato a 51 anni a colpi di pistola – nel foggiano – mentre rincasava in bicicletta dopo una estenuante giornata di lavoro. Aveva una colpa, sì: quella di aver denunciato un sistema di estorsioni nel Tavoliere. E non c’erano neanche i soldi per le sue esequie. Anche Sacko Soumayla, ventinovenne maliano, è stato ucciso: assassinato la notte del 3 Giugno 2018 nel vibonese da un colpo di fucile che qualcuno sparò dopo aver preso la mira per quattro volte da una distanza di 150 metri. Sacko era un attivista sindacale dell’Usb, un ragazzo da sempre in prima fila nelle lotte per difendere i diritti dei braccianti agricoli sfruttati nella Piana di Gioia Tauro e costretti a vivere in condizioni fatiscenti nella tendopoli di San Ferdinando. Invece, Amadou Balde, ventenne arrivato dalla Guinea, è morto nel 2018 con altri quindici ragazzi in due distinti incidenti stradali, di ritorno dai campi nel nord della Puglia, stipati su furgoni come fossero bestie.

Sono oltre 1.500 i braccianti morti negli ultimi sette anni nelle campagne italiane. Dietro quei numeri ci sono nomi, affetti, sogni, storie, corpi. Storie passate come un fulmine sulle pagine dei nostri giornaloni, senza lasciare memoria.

E allora, della memoria ce ne occupiamo noi: oggi è il Primo Maggio 2020 e parliamo di queste storie che ci prendono per i capelli e ci scaraventano indietro nel tempo. Ci riportano a un passato privo di diritti, di tutele, di dignità del lavoro. Ci riportano al 1^ Maggio del 1906, anno in cui fu condotta una importante inchiesta parlamentare sulla situazione dei braccianti agricoli. E in cui era riferito quanto segue: “Nel sud Italia, le condizioni dei lavoratori della terra sono disperate, segnate da grande miseria e sfruttamento disumano che i grandi proprietari terrieri impongono alla manodopera, attraverso tariffe irrisorie, orari estenuanti e diritti negati”. La realtà si staglia incredibilmente davanti a noi: i disperati, i grandi proprietari terrieri, lo sfruttamento, i guadagni irrisori, i diritti negati, i tempi di lavoro disumani. Primo Maggio 1906, Primo Maggio 2020: tutto immutato, nel tempo, nello spazio, nella ragione e nella coscienza.

Il lavoro delle 5P – Precario, Pesante, Pericoloso, Poco pagato, Penalizzante socialmente – tocca sempre ai più deboli, agli ultimi. Che poi è lo stesso lavoro delle 3D, cioè i DDD jobs: Dirty, Dangerous and Demeaning (Sporchi, Pericolosi Umilianti).

Lo chiamano caporalato, sfruttamento, riduzione in schiavitù, a seconda del narratore di turno. In realtà siamo di fronte a qualcosa di peggio: è una operazione di rapina della dignità, perpetrata ai danni di esseri umani che partono da una posizione di estrema vulnerabilità, perché in stato di bisogno. Una dequalificazione della persona resa ancora più mortificante dai chiacchiericci insulsi e ipocriti di una politica che ulula contro il caporalato guardandosi bene dall’adottare misure di contrasto realmente efficaci. Perché è troppo attraente il giro di soldi che ruota intorno allo sfruttamento: quei pomodorini vanno a finire negli stabilimenti dei grandi marchi alimentari e terminano il loro viaggio sulle nostre tavole, a prezzi irrisori. In quella miseria di prezzo c’è tutta quella operazione di espianto di dignità dal corpo e dall’anima di un uomo: pensiamo alla fatica, al sudore, alle sofferenze, alle oppressioni, alle morti, alle tragedie che servono a produrre quei pomodori; pensiamo agli stranieri che vengono da lontano per poter lavorare la terra, agli italiani che non hanno una alternativa per mantenere le proprie famiglie, agli affetti lasciati lontano; pensiamo ai mal di schiena, alle ferite, alle febbri, alle poche ore di sonno, ai pasti frugali consumati velocemente; pensiamo alle ore consecutive di lavoro trascorse sotto il caldo, alla totale mancanza di riposo settimanale; pensiamo alle donne, agli uomini, alle madri, ai padri e ai bambini che piangono sui loro congiunti caduti sui campi di lavoro e che non avranno più quella mano callosa da stringere. Ma davvero la vita di una persona vale il costo di un barattolo di pelati al supermercato?

E poi c’è anche chi sostiene che l’ingresso in Italia di lavoratori provenienti da paesi non comunitari determini un abbassamento delle condizioni di lavoro degli italiani. In base a questo bizzarro teorema, i nuovi arrivati sarebbero una delle cause dello sfruttamento e non l’effetto, in quanto disposti ad accettare condizioni lavorative ben peggiori di quelle degli italiani: tecnicamente si chiama dumping salariale. Ma non ci sfiora per caso il dubbio di essere colpevolmente inadeguati a difendere il lavoro nel nostro paese? Di aver rinunciato a preoccuparci della dignità delle future generazioni? Di aver lasciato finanche i nostri figli soli a mendicare un posto di lavoro decoroso (ricevendo invece in cambio offerte di lavoro indecenti)? E continuiamo invece a dire sciocchezze proprio qui, qui nella terra di Giuseppe Di Vittorio: quella stessa terra che è entrata in bocca ad Abdullah pochi secondi prima di morire, mentre si accasciava, stremato. E noi abbiamo lasciato che lo calpestassero quando era ancora vivo, che i padroni e gli sfruttatori – quelli stessi che ci procurano i pelati che finiscono sulle nostre tavole – schiacciassero la sua testa e quella dei suoi compagni di sventura con i loro stivali, con l’arroganza tipica di chi pensa di essere padrone di tutto, anche della vita degli altri. Dietro quel furto di libertà, di dignità, di vita, ci siamo noi.

E allora, in questo Primo Maggio 2020, nella barbarie dello sfruttamento e del razzismo, che oggi sono componenti importanti delle perverse mappe del lavoro nel nostro Paese, serve ricordare; serve la memoria per promuovere sensibilità e connettere la solidarietà con le azioni di lotta, di sciopero e di organizzazione. Per trasformare lo sfruttamento, la rabbia e il dolore in cambiamento sociale.

Non si tratta semplicemente dell’uomo bianco contro l’uomo nero, perché, a volte, il razzismo diventa un comodo alibi, utile a nascondere il senso delle cose, il vero significato degli eventi. Si tratta di qualcosa che va oltre il mero razzismo (che c’è comunque). Si tratta di una storia antica, pesante, che ci carica tutti quanti di enormi responsabilità: è la storia degli oppressi e degli oppressori. E’ una storia che ci chiede di scegliere da che parte stare. Perché loro – gli oppressori – hanno già scelto.

E allora ciao Abdullah, lo dedichiamo a te questo Primo Maggio. Con un impegno preciso perché, questo, è un Primo Maggio particolare. Viviamo una emergenza, sanitaria, economica, sociale, che ci mette tutti di fronte alla responsabilità di pensare a un modello di sviluppo diverso, ad un sistema di vita alternativo, a un mondo nuovo; che ci impone di non commettere l’errore di tornare a quella “normalità” che ha strappato la dignità a te e a miliardi di persone su questa terra.

Certo Abdullah, lo dedichiamo a te questo Primo Maggio e lo ricordiamo, lo ricorderemo a tutti. Cosa? Che il nome Abdullah, dalle tue parti, significa “Servo di Dio”, non certo degli uomini.

25 APRILE 1945: LA LIBERTA’ CHE NON CONOSCE SCONFITTA

Intervista di Antonio Garofalo a Rosaria Lopedote
foto tratte dalla pagina facebook di R. Lopedote

In città le bandiere sui balconi, inondate dalla luce di primavera, riempiono ormai da tempo le nostre giornate e aspettano di tornare a sventolare.

è come se l’inizio della nuova stagione portasse con sé l’unica fiducia, di cui ora abbiamo bisogno: neutralizzare e lasciarsi alle spalle le “giornate più difficili”, come quelle che indiscutibilmente abbiamo e stiamo attraversando a causa della pandemia.

Ciò penso sarà successo anche settantacinque anni fa, per altre ragioni e cause ovviamente, quando quel 25 aprile del 1945 il Paese si liberò dal nazifascismo: sradicati dal passato, con un presente da ricostruire e tanta incertezza sul futuro.

Eppure quel momento, quella data è divenuta a distanza di tanti anni, il simbolo di una rinascita, di una memoria per quanto travagliatamente “conquistata”, innegabilmente legata al bene più grande a cui un popolo possa aspirare: la libertà.

Discuterò su tale argomento con Rosaria Lopedote, già parlamentare, della Segreteria dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), in occasione dell’imminente “Festa del 25 aprile”, che quest’anno si realizzerà in un contesto meno “pubblico” e più “virtuale”, ma non per questo poco significante.

Inizierei con una domanda personale.

Chi è Rosaria Lopedote e per quale motivo è iscritta all’ANPI Associazione Nazionale Partigiani d’Italia?

La mia famiglia di origine, del proletariato urbano del quartiere Libertà, mi ha insegnato la dignità del Lavoro, la solidarietà, il rifiuto della guerra e di ogni forma di prevaricazione. Attraverso gli studi ho poi conosciuto le nefandezze del fascismo: la privazione delle libertà, il confino e il carcere per gli oppositori, le leggi razziali, il ruolo delle donne confinato a quello di “fattrici”, la ferocia della repressione esercitata nelle colonie, l’alleanza col nazismo, la guerra…. Da qui la scelta del valore, ora come allora, dell’antifascismo e la conseguente adesione all’Anpi.

Il valore, a distanza di settantacinque anni, del “25 aprile”: perché è corretto oggi tenerne alta la memoria?

In questi anni abbiamo assistito a vari tentativi di negare il valore storico e nazionale della guerra di Liberazione, declassata in qualche caso a guerra civile “tra opposte fazioni”…. In alcuni nefasti governi della nostra Repubblica alcuni ministri hanno disertato le manifestazioni del 25 aprile: inutile dire che si trattava di ministri espressione di area politica vicina al fascismo. Perché, benché sia vietata dalla nostra Costituzione la ricostruzione, sotto qualunque forma, del partito fascista, quella matrice non è stata debellata. Senza tornare agli anni bui dello stragismo, in cui gruppi neofascisti collusi con pezzi deviati dello Stato, seminarono bombe e morte a Milano, Brescia, Bologna. Ci basti pensare a tempi molto più recenti.

L’accanimento sistematico contro gli immigrati, il richiamo alla violenza negli stadi e contro le donne rispetto alle quali si è evocato più volte lo stupro come strumento d’intimidazione, l’intolleranza, l’antisemitismo e aggressioni di Casapound (che abbiamo ben conosciuto anche a Bari) sono tutte manifestazioni di un pericoloso rigurgito fascista che richiede una costante vigilanza democratica. 75 anni fa, il 25 aprile l’Italia si liberava dal nazifascismo; sottolineo il “si”, perché a liberarsi e a riscattare la dignità del proprio Paese fu un intero popolo. Furono i ragazzi della muraglia della città vecchia di Bari, i “femminielli” napoletani, le ragazze che facevano le staffette, le Brigate partigiane, i cattolici, sacerdoti come don Pietro Pappagallo, insegnanti come Gesmundo (cito questi martiri delle fosse Ardeatine perché di Terlizzi). Furono i frati che nascosero i partigiani nei conventi, gli operai che proclamarono lo sciopero generale, i carabinieri fedeli al Paese e non al regime, i militari che scelsero di disertare piuttosto che aderire alla repubblica di Salo’. Ecco il valore del 25 aprile: nasce qui, dalla Liberazione, l’Italia democratica che abbiamo il dovere di difendere ancora oggi.

“Altro che bella ciao, la resistenza la fanno medici e infermieri”. Cosa risponde a Sallusti che ha lanciato questa provocazione sul suo giornale?

Sallusti ha recentemente lanciato una provocazione (cosa che per lui non costituisce una novità): nel continuo tentativo di delegittimare la Resistenza, ha scritto che “oggi “la resistenza la fanno medici ed infermieri”. Quasi un virus possa paragonarsi a una sistematica azione di guerra, repressione, violenza, razzismo, perpetuata dai fascisti. I nostri medici e infermieri stanno mostrando professionalità e abnegazione. Ben 167 le vittime tra il personale sanitario ad oggi. Non eroi, ma morti sul lavoro, come tanti (1538 lo scorso anno) nel nostro Paese; anche in questo caso andrebbero ricercate responsabilità, omissioni, superficialità. Non ora, ma verrà il tempo in cui “chieder conto”.

Una domanda, però non può prescindere dall’autentica e difficile attualità che stiamo vivendo: in un contesto in cui abbiamo capito cosa significa vivere nell’incertezza, e che per forza di cose impone alla società un cambiamento “epocale” rispetto ai nostri comportamenti, quale valore ha la “Liberazione” per noi, il nostro Paese, l’Europa?

In un momento come l’attuale, possiamo ancora attingere ai valori e alla testimonianza della Resistenza per affrontare i temi inediti che ci sono posti dalla necessità di rifondare un’Europa solidale, ripensare alla produzione ed organizzazione del lavoro, democrazia partecipata, cittadinanza attiva, alleanza tra produttori e consumatori, un diverso rapporto con la natura. Come allora, occorre che ci si rimbocchi le maniche, ognuno faccia la sua parte con responsabilità e dedizione, e si operi insieme: la Liberazione fu una grande opera “collettiva ”e lo stesso spirito dovremmo mettere ora in campo per affrontare un problema epocale e costruire un futuro di pace tra i viventi.

Cosa sente di dire ai più giovani sul 25 aprile?

Nel mio lavoro d’insegnante ho cercato di trasmettere “memoria” perché senza memoria non si riconoscono le proprie radici e non si può costruire la propria identità. Questo vale per gli individui e per i corpi sociali. Alcuni errori sono stati commessi nel non dare nei percorsi didattici il giusto spazio alla storia del ‘900 e questo ha comportato la difficoltà di decodificare l’oggi. Il rischio è un presente che non è frutto del passato e non costruisce il futuro, un appiattimento sull’oggi, ”qui e ora” e capiamo bene come questo pregiudichi i rapporti sociali, l’accettazione delle diversità, la capacità di accoglienza, i consumi, l’uso e l’abuso delle nuove tecnologie. Ma ho una grande fiducia nei giovani e nella loro curiosità: allora, parliamo loro, raccontiamo, anche attraverso testimonianze, quello che è stato: che la tragedia del fascismo non si ripeta, che i valori fondanti della nostra Costituzione, forse la migliore al mondo, siano attuati, a partire dall’articolo 1 che quella democrazia conquistata il 25 Aprile di 75 anni fa sia difesa, che se ne abbia cura sempre.

Quest’anno, con l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e che ci costringe a stare lontani, la Festa della Liberazione rappresenta più che mai il momento per riaffermare con forza i valori della Resistenza, della Costituzione e della democrazia. Anche se non potremo scendere in piazza, il 25 aprile è l’occasione, ancora una volta, per celebrare la Festa della Liberazione guardando al futuro, per impegnarci ancora di più ad affermare i principi della nostra Costituzione, convinti che solo così il nostro Paese potrà ripartire all’insegna dell’unità e della speranza. Ecco l’appello dell’ANPI per quest’anno: chiedere a cittadini e associazioni (tante hanno già dato assenso) di aderire al flash mob #bellaciaoinognicasa: il 25 aprile alle ore 15, l’ora in cui ogni anno parte a Milano il grande corteo nazionale, invitiamo tutti caldamente ad esporre dalle finestre, dai balconi il tricolore e ad intonare Bella ciao.

E se un giorno uno “Stato di diritto” si trasformasse in “Stato di delitto”, secondo la celebre espressione di Hannah Arendt (a proposito dei regimi totalitari dell’Europa tra le due guerre), non potremmo che seguire, oggi e per sempre, gli insegnamenti lasciati dalla Resistenza. Grazie Rosaria per averceli espressi e ricordati, attraverso questa tua mirabile sintesi.

 

 

NEL CUORE DEL QUARTIERE LIBERTA’ GERMOGLIA “UN SEME DA COLTIVARE”

E’ IL PROGETTO FINALIZZATO ALLA SENSIBILIZZAZIONE DEL RISPETTO AMBIENTALE, ALLA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI DELLA TERRA, ALL’EDUCAZIONE ALIMENTARE. COSI’ NASCE L’ORTO URBANO ALL’INTERNO DEL MUNICIPIO1.

Articolo e foto di Donatella Albergo

La mattina del 20 dicembre, nel giardino del Municipio1, in via Trevisani, è stato inaugurato l’Orto Urbano, con la partecipazione di bambini di scuole elementari e materne, insegnanti, genitori, dirigenti scolastici e cittadini. L’evento è stato animato da musiche, giochi, spettacoli di clown, il battesimo dello Spaventapasseri, la piantumazione di cicorie, finocchi, cime di rapa, broccoli, cipolle e altro ancora.

Il progetto è nato dalla collaborazione tra la Cooperativa SoleLuna e il Municipio1, al fine di coinvolgere non solo le scuole con percorsi didattici studiati e calibrati, ma anche genitori, adulti e cittadini, per sollecitare la partecipazione, il rispetto del verde e dell’ambiente, per migliorare gli stili alimentari, per saldare i rapporti tra cittadino e istituzioni.

Abbiamo rivolto a Fabio Sisto, il consigliere municipale, Presidente della Seconda Commissione e responsabile del progetto, alcune domande.

Innanzitutto, ci potrebbe presentare l’iniziativa?

L’orto è un metafora di vita per educare e responsabilizzare non solo i bambini, ma anche gli adulti, alla cura dell’ambiente e alla tutela del nostro patrimonio naturale. Con queste finalità è nato il progetto “Un seme da coltivare”.

Quali scuole sono state coinvolte?

Scuole materne ed elementari non solo del quartiere Libertà, ma del Municipio1, a cominciare dalla Scuola Materna che ha sede proprio all’interno di questo Municipio. Ma il progetto corona anche il lavoro dei consiglieri De Giosa, Boccasile, Cassano, Manzari e naturalmente del Presidente Lorenzo Leonetti che ha appoggiato e sostenuto quest’idea fin dall’inizio.

Quanto durerà questo progetto e cosa prevede?

Da questo momento di gioco e di speranza nasce il nucleo dell’orto urbano, che continuerà a vivere e crescere nei prossimi anni, sperando che possa ricevere le cure e il rispetto che vogliamo seminare insieme a queste piantine. A gennaio decideremo a chi affidarne la cura, ma nei prossimi mesi sono già in programma visite didattiche e iniziative formative. Sono previsti percorsi conoscitivi delle materie prime e delle verdure, soprattutto quelle che la nostra terra ci regala, senza perdere di vista il rispetto dell’ambiente e la corretta alimentazione dei cittadini.

Anche il Presidente Leonetti, nel suo intervento, ha parlato di “Un progetto ambizioso, che vuol piantare semi di educazione alimentare e sensibilizzazione ambientale, per vedere poi germogliare cittadini capaci di prendersi cura di sé e del mondo che li circonda, sempre con l’obiettivo di generare cittadini attivi. Questo del Municipio1, sarà l’orto di tutti.”

Abbiamo poi incontrato Rachele Calabrese, insegnante, anzi, “maestra di strada”, come ama definirsi, che ci ha fatto un po’ la storia di questo progetto che risale ad alcuni decenni fa. Infatti, l’idea di un orto cittadino nasceva circa quarant’anni fa da Francesca Caffiero, maestra della scuola elementare San Giovanni Bosco. Con un manipolo di colleghe altrettanto convinte e profetiche, Francesca e Rachele intuirono che con l’osservazione, la ricerca, la scoperta e una scelta ecologica di vita, si potevano togliere i bambini dalla strada e offrire loro il bello della ricerca scientifica e civica. Non nacque l’orto urbano, come oggi, ma bulbi e piantine furono coltivate in classe, i bambini impararono a rispettare l’ambiente e il quartiere si arricchì di cittadini più rispettosi del verde. Il cortile della scuola e gli spazi verdi intorno si colorarono di fiori e piantine. Il progetto fu seguito poi anche dall’università e dal prof Macchia, direttore dell’orto botanico.

Interessante fu l’individuazione iniziale della location del progetto: l’ex manifattura dei tabacchi, oggi mercato coperto del quartiere Libertà. Chiamata dai baresi semplicemente “la manifattura” e inaugurata nel 1913, fu una modernissima fabbrica per la lavorazione del tabacco; dava lavoro a più di mille operaie e al suo interno comprendeva anche un cinema, un centro ricreativo per i dipendenti, un asilo nido e una nursery con lactarium. Questo era costituito da un ampio spazio con vetrate, dove le operaie potevano allattare i propri bambini. Ideale per una serra e per un orto cittadino quando, negli anni Settanta, “la manifattura” fu chiusa. Ma non se ne fece più nulla e gli edifici rimasero in abbandono fino alle recenti ristrutturazioni e cambiamenti d’uso.

Possiamo ora capire e condividere l’emozione per questa giornata davvero speciale e augurare lunga vita al neonato Orto Urbano che finalmente ha visto la luce in questo 20 Dicembre 2019.

 

 

 

OGGI GRANDE GIORNATA DI POLITICA PARTECIPATA AL MUNICIPIO 1

Articolo e fotografie di Donatella Albergo

IN OCCASIONE DEL TRENTENNALE DELLA CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA, IL CONSIGLIO MUNICIPALE JUNIOR HA APPROVATO, TRA L’ALTRO, IL PROGETTO “TRACCE DI STORIA NEL MIO QUARTIERE”, PRESENTATO DA “LIBERTIAMOCI” 

Il 20 Novembre di trent’anni fa veniva approvata la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e oggi non solo la fontana di Piazza Moro, biglietto da visita della città, si illumina di azzurro, il colore dell’UNICEF, ma qualcosa di più rilevante si è svolto nella sala consigliare del Municipio1: un Consiglio Municipale davvero speciale, voluto fortemente dal Presidente del Municipio1, dott. Lorenzo Leonetti, e dal Presidente del Comitato UNICEF di Bari, dott. Michele Corriero. In questa occasione, “Libertiamoci”, Associazione Culturale per la formazione alla Cittadinanza Attiva, ha presentato il suo progetto per le scuole, “Tracce di storia nel mio quartiere”, patrocinato dal Municipio1 e dal Comitato UNICEF di Bari.

Circa sessanta ragazzi di sei scuole, dalle elementari ai licei (“Umberto I”, “Carlo Levi”, “Niccolò Piccinni”, “Socrate”, “Bianchi Dottula”, “Filippo Corridoni”), si sono sostituiti ai “titolari” Consiglieri e Presidente e hanno data vita al Consiglio Municipale Junior.

Nutritissimo l’odg che prevedeva punti molto impegnativi, come l’approvazione del nuovo Regolamento del Corpo di Polizia Locale di Bari e meno ostici come l’approvazione di nuove “Case dell’Acqua nel Municipio del Mare” o dei progetti “Presidente per un giorno” e “Tracce di storia nel mio quartiere”.

Disinvolti, preparati, motivati, coinvolgenti, Emma, Nicolas e i loro compagni hanno dibattuto di sicurezza e bullismo, verde pubblico e viabilità, pulizia delle strade e rispetto dei beni cittadini, plastica e raccolta differenziata, ma pure di lotta all’indifferenza e alle discriminazioni (anche per l’orientamento sessuale), di barriere architettoniche ed emarginazione, di stili di vita e rispetto del pianeta. Ti sentivi riempire di orgoglioso ascoltando quei ragazzi e pensavi che se rimanessero così per qualche anno ancora, potrebbero cambiare il Paese. E il futuro si costruisce da ora, da subito, da loro. Hanno perfino voluto che si osservasse un minuto di silenzio per ricordare tutti i bambini e gli adolescenti più sfortunati, scomparsi senza nome e senza diritti. Momenti da brivido, nella giornata che ricorda il riconoscimento dei loro diritti. E pensi a quanto lavoro c’è ancora da fare…

Il Presidente, dott. Leonetti, ha presentato il progetto del Municipio1 per le scuole,“Presidente per un giorno”. Progetto della durata di sei mesi, per diffondere il messaggio della buona politica; progetto “a cascata”, generativo di informazione e formazione, fondato sulla sinergia fra istituzioni scolastiche ed extrascolastiche.

“Approvato all’unanimità con immediata esecutività”.

E’ stato poi illustrato anche il nostro progetto fotografico “Tracce di storia nel mio quartiere” studiato per le scuole medie, con lo scopo di guidare i giovani nella comprensione del valore storico e artistico dei beni culturali, anche minori, del proprio quartiere. Perché ciò che si conosce si ama e ciò che si ama si rispetta, in un percorso che mira a condurre gli studenti a una visione matura e consapevole che scavalca il quartiere e si apre alla città, al Paese, al mondo.

I concorrenti, o le classi concorrenti, potranno presentare fino a un massimo di tre foto, accompagnate da una breve scheda illustrativa, che abbiano come tema un elemento artistico o storico del quartiere, anche se di importanza non primaria, come per esempio un portale, un marcapiano, un’antica insegna commerciale, un’icona votiva, una fontana pubblica, una lapide commemorativa o qualunque altra testimonianza significativa. Una commissione esaminatrice giudicherà e premierà gli scatti migliori.

L’intento è quello di mettere i ragazzi sulle tracce delle proprie radici perché partendo dalla realtà presente e vicina imparino a volare alto e lontano.

“Approvato all’unanimità con immediata esecutività”.

Se genitori, docenti, presidi, studenti fossero interessati a partecipare al progetto, possono inviare mail a libertiamoci@libero.it o a municipio1@comune.bari.it

Buona fortuna, ragazzi.

Inaugurata nel giardino interno dell’Ex Manifattura Tabacchi la Rete Civica Urbana del quartiere LIBERTÀ (RCU- Libertà)

Articolo di Teresa Scolamacchia
Fotografie tratte dal WEB (Teresa Imbriani)

L’ultima Rete Civica Urbana, delle 12 costituitesi dopo il bando del Comune lo scorso anno, è stata inaugurata sabato 9 novembre, nel giardino interno dell’Ex-Manifattura Tabacchi.

Come annunciato, il pomeriggio è stato all’insegna della sostenibilità ambientale, della cura e implementazione del verde urbano volta a riqualificare gli ambienti del quartiere, dell’arte (pittura) e dei giochi, da tavolo e ..“da strada” (campana, ramette, dama..)

Dopo una pulizia condivisa degli spazi verdi con rastrelli e scope rigorosamente ecososenibili (grazie ad Help), in una parte del giardino sono spuntate parole “gioia, poesia, rispetto, cultura, bellezza, sorrisi… ed una pianta s’è riempita di poesia, del giardiniere poeta Luca Cascella (Bass Culture – Officina degli Esordi). Molto sentita la partecipazione degli abitanti del quartiere, inizialmente curiosi, che sono aumentati fino a sera, cosí come i bambini, arrivati in gran quantità.

Help ha distribuito decine di piantine e semi vario tipo a signore e signori piantandone alcuni in vasi ricavati da copertoni riciclati dipinti dai più piccoli.

Gemme dalla cassaforte di un pirata sono state regalate a tutti per cimentarsi in giochi di abilità e sveltezza (TouPlay) costruiti riciclando bottiglie di plastica, cartoni ed elastici. E quante trottole! Bellissimo vedere bambini e non solo in coda per sparare con un cannone di cartone una pallina da ping-pong sperando di far centro…..

Giochi da tavola da tanti paesi (Circo ‘n Dario) hanno invaghito non pochi.

Un grande lenzuolo inizialmente bianco è diventato un ritratto degli edifici del Libertà in poco tempo grazie ad una fantastica pittrice di GEP_ Educhiamoci alla pace ed un altro, è stato lasciato in bianco e poi colorato da bambini del quartiere.

L’assessore alle politiche educative, giovanili e Città universitaria Paola Romano, che ha rivolto l’augurio di un buon inizio, e l’addetto al welfare politiche del lavoro e innovazione sociale, Vitandrea Marzano hanno condiviso spazi ed attività.

È stato piantato un olivo simbolo di pace per un quartiere dal cuore multietnico e colorato. Si è giocato a dama e a ramette, alcuni hanno mangiato una crostata offerta da una partecipante, fino a quando tuoni e fulmini hanno annunciato un acquazzone finale, che ha innaffiato il tutto…o “ Benedetto! “direbbe Don Francesco (Redentore) l’inizio delle attività dell’ RCU-Libertà.

Ad maiora!

La riduzione di biodiversità è rischiosa quanto il cambiamento climatico

Articolo originale https://www.chathamhouse.org/expert/comment/biodiversity-loss-big-crisis-climate-change

tratto da: https://www.chathamhouse.org/
data pubblicazione: 13 Maggio 2019

La pubblicazione di un report importante che descrive lo stato della natura presenta una previsione nefasta sul futuro dell’umanità e del pianeta. Gitika Bhardway dialoga con Sandra Diaz, co-direttrice del report, a proposito di ciò che determina la crisi della biodiversità e di come possiamo fermarla prima che sia troppo tardi. 

La scorsa settimana, 150 esperti provenienti da 50 Paesi hanno reso pubblico un importante report che mostra come la natura sia in declino a livello globale, ad un livello mai osservato in precedenza, con quasi un milione di specie minacciate d’estinzione, più che in ogni altro periodo nella storia dell’uomo. Cosa provoca questa perdita globale di biodiversità e in cosa differisce dalle precedenti ondate di estinzione sperimentate sulla Terra?

Si pensa che la Terra abbia vissuto cinque estinzioni di massa nella sua storia, ma la differenza cruciale è che stavolta la minaccia è causata dagli esseri umani.
Le nostre azioni, nel corso degli ultimi 50 anni, sono state causa di un record di perdita di specie, da dieci a cento volte piú rapido del normale tasso di estinzione degli ultimi 10 milioni di anni. Solo dal 1970 la popolazione dei vertebrati è diminuita del 40% per le specie terrestri, dell’84% per quelle d’acqua dolce e del 35% per le specie marine.
Tutto ciò si sta verificando a causa di una serie di azioni umane, quali il cambio accelerato d’uso del suolo per allevamenti e disboscamento; lo sfruttamento eccessivo dei nostri mari ed oceani, dovuto alla pesca; l’inquinamento dell’aria, del suolo e dei sistemi acquatici; la caccia e anche –volutamente o meno– l’immissione di specie invasive da regioni distanti. E ciò sta succedendo su scala globale, senza precedenti.

 Le attività umane hanno alterato significativamente circa i tre quarti di tutte le terre e i due terzi degli oceani, secondo questo report.
Dall’impollinazione degli insetti che ci forniscono cibo, alle paludi di mangrovie che ci forniscono scudi contro le tempeste, quanto gli umani dipendono dalla natura, e come impatterà su di noi se essa continuerà a degradarsi nella misura attuale? 

Una delle cose che il report sottolinea è la profonda dipendenza di tutti gli esseri umani dalla natura. Dipendiamo dalla natura per avere una vita soddisfacente, indipendentemente da dove viviamo, spesso senza rendercene conto. Dipendiamo dalla natura per il nostro sostentamento fisico, per la nostra continuità culturale e il senso d’identità.
Certo, la natura regola anche una quantità di processi che neanche notiamo e che sono la base delle nostre economie e del nostro benessere, come l’acqua pulita, la protezione da pericoli ambientali, l’impollinazione dei raccolti e la regolazione del clima. Quindi non possiamo vivere la vita come la conosciamo e la godiamo, prescindendo da essa.
Nel report abbiamo fatto un bilancio valutando i diversi tipi di contributi della natura alle persone e abbiamo concluso che, ad eccezione della produzione di cibo, energia e materie prime, tutti gli altri contributi che la natura offre all’uomo -circa 14 di 18 tipi- stanno diminuendo globalmente.
Abbiamo analizzato una serie di scenari e in tutti c’è un brusco impoverimento della natura e un indebolimento della sua capacità di regolare i vari processi naturali della Terra. Inoltre, il cambio climatico sta interagendo con tutti gli altri fattori della biodiversità in modi complessi, per cui il futuro sembra estremamente cupo per la maggior parte delle persone nel mondo e anche peggiore alcune in particolare, già dai prossimi 30-40 anni.

Così come il cambio climatico, questa perdita di biodiversità, qui sottolineata, pone un rischio, serio ed urgente, per gli esseri umani, ma raramente è stata discussa. Considerando l’aumento della preoccupazione pubblica dopo il rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambio Climatico (IPCC) dello scorso anno e le diffuse proteste pubbliche di quest’anno, crede che questa tendenza possa cambiare?

Sì decisamente. l’IPCC ha avuto tradizionalmente maggior attenzione, ma ciò solo perché l’IPBES (la Piattaforma Intergovernativa Scienza-Politica sulla Biodiversità e i Sevizi d’Ecosistema) è molto più giovane. Questa è la prima analisi sulla biodiversità globale dal 2005 che presenta lo stato della biodiversità e dei servizi ecosistemici e ciò che significano per l’umanità.
Per contro l’IPCC ha decenni di storia, quindi seguiamo i loro passi, ispirati da loro nel modo di organizzarci, e come risultato credo che le persone stiano cominciando ad ascoltarci.
Siamo stati piacevolmente sorpresi dalla grande attenzione pubblica che abbiamo ricevuto quando il report è stato reso pubblico la scorsa settimana. Ci sono movimenti ambientalisti che si sono focalizzati sul cambio climatico e adesso -solo dopo una settimana dalla pubblicazione del report- hanno già annunciato che lotteranno per la natura, quanto per il clima, perché hanno capito che non possono lottare per l’uno senza lottare anche per l’altra.

Il rapporto mette in luce come i problemi dello sviluppo sostenibile, cambio climatico e biodiversità, siano correlati. Quindi, quanto richiede un approccio integrato l’affrontare questi problemi, per esempio attraverso accordi internazionali che includono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, per la sua sigla in inglese, NdR), l’Accordo di Parigi sul Cambio Climatico e gli Obiettivi Aichi sulla biodiversità? È necessario riformare questi strumenti in qualche modo?

L’approccio integrato è imprescindibile. Nel report, diamo ampio spazio al concetto che cercare di raggiungere il benessere umano per tutti, fermare il cambio climatico e conservare la biodiversità siano problemi che non possono essere affrontati singolarmente; si rischierebbe di peggiorare gli altri due problemi, cercando di risolverne uno solo.
I tre strumenti che ha citato devono considerare i tre pilastri: buona qualità della vita per tutti, clima e biodiversità in modo integrato, molto più di quanto sia stato fatto fino ad ora. Questi strumenti devono dialogare tra loro e ciascuno deve tener conto degli altri nel progettare gli obiettivi e definire le azioni da svolgere.
Per esempio, nella nostra valutazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), abbiamo visto che molti di essi non citano espressamente la biodiversità, cosa che è sorprendente, considerando che non si possono raggiungere gli obiettivi senza la natura, ovvero la fonte di vita.
E inoltre: abbiamo bisogno di focalizzarci molto di più su azioni più che su obiettivi alquanto nebulosi. C’è molta sinergia che deve essere raggiunta sui tre accordi, e credo che la gente che li guida sia adesso molto più preparata ad ascoltare di quanto lo fosse prima.

Questo report è stato approvato da 132 governi, con la Francia che ha annunciato che adesso mira a proteggere la biodiversità come priorità importante quanto il cambio climatico, ed anche i paesi del G7
-insieme a Cile, Fiji, Gabon, Messico, Nigeria e Norvegia- hanno annunciato il loro impegno a proteggere la biodiversità in accordo con il report. Quale azione vorrebbe veder prendere dagli altri governi? 

In sintesi, vorrei vedere i governi investire soldi piuttosto che spendere parole, per dirla in maniera semplice. Hanno tutti espresso la loro preoccupazione rispetto alla perdita di biodiversità -e la maggior parte dei governi, se non tutti, hanno lodato quanto abbiamo riportato nel nostro report- ma adesso abbiamo bisogno di azioni.
C’è un numero di correzioni che possono essere fatte facilmente e velocemente come creare più aree protette, migliorare i sistemi di trattamento della spazzatura, proibire la plastica, migliorare le reti da pesca e riciclare di più. Tutto questo può aiutare enormemente, ma solo se fatto in sinergia, perché singolarmente non sarà mai abbastanza.
Per avere l’opportunità di fermare la distruzione del nostro mondo naturale, abbiamo bisogno di fare quanto descritto, oltre a determinarne le cause che sono alla base di tale distruzione. Questo significa esaminare e affrontare le attività che guidano il cambio d’uso del suolo e i cambiamenti nei nostri mari ed oceani, il cambiamento climatico, l’inquinamento e il diffondersi di specie invasive. Queste cause sono tutte relazionate al nostro stile di vita. Ecco perché noi diciamo che, nonostante la crisi della biodiversità sembri biologica, le cause e le soluzioni sono profondamente sociali.
Quindi i governi devono integrare le considerazioni sulla biodiversità trasversalmente a tutti i settori, non solo con migliori politiche ambientali, ma anche con migliori politiche relative all’agricoltura, alle infrastrutture e al commercio. La biodiversità non è solo un problema per i rispettivi ministri dell’ambiente; è un problema per tutti i ministri, perché è un problema che investe tutti i settori.
Bisognerebbe mettere la natura e il bene comune al di sopra degli interessi economici di una ristretta minoranza. E’ tanto semplice eppure così difficile da fare.

Gitika Bhardwaj – Digital Editor

Sandra Diaz – Co-Chair, Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) Report

Un Question Time a prova di candidato

Articolo di: Teresa Scolamacchia e Antonio Garofalo
Fotografie di Roberta Giordano

 

“Più dei social network, dei mass media, poté la partecipazione”. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la riuscitissima iniziativa promossa il 15 maggio u.s., dalla Scuola di Formazione di cittadinanza attiva “Libertiamoci” con altre associazioni: “Anche noi – cittadinanza attiva”; “Giuseppe Lazzati”; “Arca centro di iniziativa democratica”; Associazione “Periplo”.

Alla mezzanotte di oggi si chiude questa campagna elettorale “beve”, in cui oltre che per le Europee vede la città di Bari coinvolta per le elezioni del “primo cittadino” e consiglio comunale, oltre ai Presidenti dei Municipi (cinque complessivamente) e relativi Consigli .

Il Question Time -come detto- svoltosi il 15 maggio u.s., ha visto la sala dell’Officina degli Esordi, Laboratorio Urbano, riempirsi di cittadini che volevano informarsi, partecipare e comprendere i programmi futuri per la nostra città proposti da chi si candida per amministrarla, nei prossimi cinque anni.

Presenti: Antonio Decaro (centro sinistra); Irma Melini (Irma Melini per Bari); Elisabetta Pani (M5S);Sabino De Razza (Lista sociale , Baricittàperta);Francesco Corallo (pensionati e giovani invalidi ). Moderatore: Ninni Perchiazzi (Gazzetta del Mezzogiorno).

Ninni Perchiazzi

 

Dunque, ad eccezione di Di Rella (centro destra), tutti i candidati invitati erano presenti a testimoniare la volontà di confrontarsi su temi d’interesse comune. Tre le domande, formulate “in sinergia” dalle associazioni partecipanti, spiccavano questioni quali: welfare, sicurezza e ambiente, su tutte le altre.

 

Irma Melini

Venendo poi agli interventi e soprattutto alle diverse proposte di governo per la nostra città Le prime “battute” sono state quelle di Irma Melini, , ha evidenziato l’importanza delle consulte che, ha detto, dovrebbero racchiudere comitati ed associazioni, per garantire che le decisioni siano prese in maniera realmente partecipata. Riguardo alla gestione rifiuti ha proposto “l’abbattimento” della TARI, proponendo il modello tanto consumi tanto paghi (il “pay as you throw” di successo in vari comuni nel nord Italia e in EU), con investimenti per trasformare il biogas in metano da recuperare come fonte energetica. La Melini vede Bologna come esempio. Nell’Amministrazione devono esserci esperti nazionali e perché no anche con “curricula” internazionali. Ha suggerito l’introduzione di una tassa di soggiorno.

Elisabetta Pani

La candidata del M5S, Elisabetta Pani , ha esordito dicendo che “ambiente, rifiuti e acqua pubblica sono temi dei 5 stelle”, proponendo l’eliminazione della plastica e far diventare Bari come un comune “plastic free” , in primis con una sua eliminazione negli edifici pubblici. Secondo la Pani , dopo l’informazione dei cittadini sulla raccolta porta a porta, si dovrebbe rendere efficiente questo tipo di raccolta per le attività commerciali e per i quartieri periferici. La tariffa rifiuti dovrebbe essere “puntuale”. Molto critica sul verde pubblico; promesse non mantenute secondo la Pani, che cita la quantità di zero verde ogni 100 abitanti. Troppo poco…. bisognerebbe piantare un albero ogni nato. Ha proposto Case dell’acqua (una è già in funzione al PoliBa ndR) in vari municipi, per garantire l’approvvigionamento pubblico ovunque.

Francesco Corallo

E poi il candidato Francesco Corallo (Lista pensionati e giovani invalidi) che ha indicato come tutti I programmi elettorali sono “bellissimi” dapprincipio, salvo poi realizzare quanto detto. Energia pulita e ripristino dei vecchi filobus queste le sue prime proposte; a seguire l’introduzione di uno sportello dell’anziano e del disabile e, per concludere, un’attenzione al commercio.

Sabino De Razza

Sabino De Razza (Baricittàperta) ha affermato che in Puglia c’è già stato un referendum per l’acqua pubblica, quindi I cittadini si sono espressi in tal senso. No alle privatizzazioni di trasporti e servizi. Lo stato deve mantenere la proprietà di strutture e servizi che non possono essere alla mercé del profitto. Ed ancora, alcuni processi vanno portati fino in fondo, perché ci sono leggi che non vengono applicate, come quella di piantare un albero ogni nato (già citata dalla Pani). L’Amministrazione, dice, non ha ancora deciso cosa fare di aree non utilizzate, sarebbe necessario snellire la burocrazia. Cita come esempio l’Ospedale Militare “L. Bonomo”, polmone verde, che potrebbe essere messo a disposizione della cittadinanza.

Antonio Decaro

Ultimo nel prendere parola, il sindaco Antonio Decaro con il tema conferimento/smaltimento rifiuti, che ha indicato che la raccolta “porta a porta” serve vari quartieri di Bari, ma è difficile in centro, dove saranno aperte delle “Riciclerie”. La TARI non sarà ridotta, considerando che la quota prevede il compenso degli addetti alla raccolta porta a porta, ma sarà possibile una tariffazione puntuale grazie ad un codice QR (su schede al conferimento)che consentirà di valutare chi effettua una separazione dei rifiuti maggiore. Un impianto di compostaggio è già in fase di realizzazione. Considerando I trasporti pubblici Decaro ha annunciato l’arrivo di 25 autobus ibridi; con 10 Mln di euro della Regione son stati acquistati 120 autobus che hanno percorso un totale di 2 milioni di km . Con rispetto al verde cittadino, son stati creati alcuni parchi di cui uno nel territorio dell’ex-Fibronit. La sfida, secondo Decaro è la manutenzione di quanto già realizzato: è difficile, però, spendere soldi in manutenzione quando manca il rispetto da parte dei cittadini.

Sul tema della legalità e sicurezza Pani ha risposto che a Bari esistono 14 clan criminali da contrastare: è ciò deve partire da un’energica attività del prefetto quale rappresentante del ministero degli interni oltre che rappresentante del Governo.

Decaro ha sottolineato che I sindaci devono prendere posizione contro la criminalità, facendo riferimento a quando si è costituito parte civile dopo le denunce di commercianti di Carrassi, e al caso della “rivolta delle fornacelle” (disordini nel 2012 in cui clan criminali si spartivano il controllo dell’arrostimento carni per strada durante la festa di S. Nicola).

Durante l’amministrazione Decaro sono state montate 500 telecamere in vari punti della cittá e se ne monteranno altre 500; anche l’illuminazione a LED in vari punti della cittá (come a P.zza Garibaldi) è stata fatta per garantire piú sicurezza. (cita le Reti Civiche Urbane e “rigenerazione creative” dicendo che questa amministrazione ha imparato dai risultati)

De Razza si è espresso contro il controllo e lo “stato di polizia”. Per lui, più che telecamere ci vorrebbe scuola a tempo pieno. Su questo tema è cominciato un dibattito con l’intervento di Corallo che ha indicato come la criminalitá si combatte con il lavoro; per la Pani anche con “l’educazione civica, re-introdotta da questo governo”.

La Pani ha proposto, inoltre, un tavolo di confronto permanente anti mafia e antiracket. Ha continuato riferendo di aver parlato lo stesso giorno del dibattito (15 maggio ndR) con il ministro della giustizia: “C’è usura dei commercianti da parte dei clan” ed ha proposto l’istituzione di uno sportello “SOS- pizzo”, e il “controllo di vicinato” come l’unione virtuosa di cittadini che segnalano situazioni di pericolo. Sempre la candidata del Movimento 5 Stelle ha citato che la Puglia è la quinta regione per dispersione scolastica.

Irma Melini, già consigliere comunale nell’attuale amministrazione, ha citato la bellezza della città come fondamentale indicando che a Bari manca la manutenzione essenziale. Per la Melini, “si vince senza armi e la devianza minorile si combatte offrendo lavoro”. E poi il valore dello sport a livello agonistico che, sottolinea, lei ha praticato sin da piccola “senza fumare neanche uno spinello”: l’attività sportiva come componente quindi di lotta, contro la criminalità. Da amministratrice comunale, ha anche espresso la sua “vergogna” nel visitare e vedere la stato di abbandono di Enziteto.

Il dibattito attraverso un focus sul quartiere Libertà proposto dal moderatore Perchiazzi ha sollevato il tema dello spostamento del Palazzo di Giustizia dal quartiere Libertà. Decaro ha detto che è necessario conoscere lo studio di fattibilità di “Arcipelago” per considerare lo spostamento alle casermette. Per Decaro il depauperamento del Libertà verrà contrastato con la presenza del CNR nell’ex Manifattura Tabacchi , già sede di Porta Futuro (centro per l’impiego). Irma Melini vede il Libertà come una priorità: abbattimento, ricostruzione e riqualificazione. La Melini ha sottolineato come viga il “coprifuoco” nel quartiere, e alle “Casermette ci sia un problema di viabilità”.

La Pani, è quindi intervenuta, riprendendo lo stato di degrado del quartiere Libertà e proponendo un polo amministrativo per il sociale situato a Palazzo de Nicola. E poi una domanda al Sindaco Decaro: “Perché Bari non ha approvato il nuovo progetto urbanistico generale (PUG)? Secondo Pani conteneva varie caratteristiche di sostenibilità.. è necessario contrastare l’ espansione edilizia selvaggia e riqualificare di quanto già esiste, incluso le case popolari. Quindi “contro i quartieri ghetto e il consumo di suolo”. A questo punto de Razza è intervenuto dicendo “Siamo fermi a 15 anni fa. All’epoca c’era ancora il Nautico, la Manifattura Tabacchi e via della Carboneria, si sarebbe dovuto agire prima, ma forse il progetto Arcipelago si può ancora fare.

Ora la parola passi alle urne e alle scelte dei cittadini. Buon voto!

25 aprile 1945 e Costituzione: il presente di due valori

Articolo di Antonio Garofalo – intervista al dott.Pasquale Martino
fotografie tratte dal web

Siamo fuori tempo? Tale interrogativo potrebbe declinarsi in altro modo: per parlare del passato di un Paese lo si può fare in ogni momento? Per me è sì, basta averne conoscenza o esserne stati testimoni.

E’ il caso del “25 aprile” che porta con sé l’eco della libertà che non si sopisce mai… E’ stato così anche quest’anno per esempio durante la manifestazione nazionale dei sindacati svoltasi a Bologna. Infatti, dal palco del Primo maggio, si è ricordato che è anche grazie alla “liberazione”, se oggi in Italia si festeggia il lavoro.

E’ così ormai, anche quando si parla d’immigrazione, di scuola. Infatti, si è preso spunto dal 25 aprile, per ri-promuovere la storia come studio fondamentale nelle scuole, evitando che venga “decisamente cancellata”, a danno dei giovani o della memoria di un popolo. Studiosi e persone autorevoli, hanno lanciato un singolare appello a tal proposito. (Vedremo cosa il governo sarà in grado di contrapporre a tale evidente attualità).

Ritornando alla data in parola, sarà proprio la sua attualità a non renderla immune da polemiche, divisioni o dal perenne prenderla di mira, a volte anche e solo come data, altre come elementare valore permanente nazionale. Siamo stati vincitori e non vinti, grazie al contributo di tanti partigiani, anche baresi, non bisogna dimenticarlo.

Ancora, quanto il 25 aprile può rimanere resistente e compatto agli attacchi? La risposta è fino a quando saremo uniti ovvero fino a quanso ci sarà qualcuno a difenderlo, accanto a quell’unica “forza” che al momento non cede: l’antifascismo.

Ne abbiamo avuta la dimostrazione proprio a Bari con la lectio magistralis del prof. Luciano Canfora, dal titolo: “Mai più fascismi”. Manifestazione riuscitissima.

Già, ma fino a quando?

Proprio da tale questione mi sembra giusto parlare con un referente (cittadino) più che rappresentativo per cultura politica, intellettuale, di partecipazione civica e storica: il prof. Pasquale Martino.

Già Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Bari (2004-2009), è professore di lettere e autore di pubblicazioni di storia, letteratura latina, traduzioni di classici greci e latini. Attualmente è membro della Segreteria Provinciale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Bari.

Attraverso le sue parole vorremmo lasciare, soprattutto ai giovani, un documento leggibile e intellegibile, su quell’unica linea che tiene uniti 25 aprile 1945 e Costituzione: la libertà.

Come scuola di formazione alla cittadinanza attiva “Libertiamoci” avremmo voluto portare nelle scuole la sua testimonianza, insieme a quella di altri autorevoli voci che si sono espresse sul tema, avremmo voluto parlare direttamente ai ragazzi, ai giovani, ma purtroppo non è stato possibile. Il progetto potrebbe avverarsi però in un prossimo futuro, chissà. Sicuramente ci impegneremo per realizzarlo.

INTERVISTA AL DOTT. PASQUALE MARTINO

Perché il 25 aprile 1945 è in perenne discussione, nonostante abbia come “garante” la Costituzione?

Non sempre è stato così. L’avversione per il 25 aprile è stata tramandata in modo sotterraneo dai nostalgici del fascismo, dichiarati e non, ma ha acquisito forza quando, più di venti anni fa, una parte del mondo politico ha ritenuto superata la discriminante antifascista e ha addirittura inserito i neofascisti nel governo del Paese, prima ancora che quelli cambiassero nome. Ma l’antipatia per la festa della Liberazione sebbene rinfocolata costantemente non si è propagata più di tanto: quest’anno l’unico personaggio politico di rilievo che ha disertato le celebrazioni è stato Salvini, alla caccia di un certo elettorato.

Che significa oggi la parola libertà?

Libertà di esprimere il proprio pensiero, di coltivarlo attraverso la formazione culturale, di partecipare alla vita sociale e politica con spirito indipendente. Tuttavia bisogna anche essere liberi dal bisogno, dal condizionamento sociale e dalle discriminazioni di classe, di genere e via dicendo. La libertà – amava ricordare Sandro Pertini – non esiste senza giustizia sociale.

E perché al fascismo fu permesso di violarla?

L’ascesa del fascismo al potere fu consentita dalla debolezza e crisi dello Stato liberale, che aveva basi democratiche molto limitate, e dal cinico opportunismo del re che era a capo dello Stato e che assai poco si intendeva di libertà. Insomma le difese della libertà erano fragili. Fu decisivo l’appoggio del potere economico, che usò gli squadristi contro i lavoratori. Contarono molto la divisione delle forze antifasciste e la sottovalutazione della pericolosità del fascismo, nei primi anni, quando era possibile in varie circostanze fermarne l’avanzata.

“Il testamento dei centomila morti” (come diceva Calamandrei) è nato dal confronto di culture politiche diverse e contrapposte. Senza l’unità e il dialogo, fondamentali, avremmo mai avuto la Costituzione? Oggi tali due elementi sono (ancora) possibili?

La Costituzione è il frutto di un confronto dialettico e di un percorso di elaborazione di altissimo livello, animato da una tensione ideale possiamo dire inedita, che proprio la lotta di liberazione aveva generato. Si voleva chiudere non solo la pagina devastante della guerra (e della sconfitta), ma anche il lungo capitolo del regime mussoliniano che aveva significato il conformismo eretto a sistema e il servilismo a ogni livello della società. Proprio per girare pagina, era intervenuta la solida unità del CLN nella Resistenza, pur nella dialettica talora aspra fra i partiti. Questa vicenda si trasfuse nel processo costituente, in cui trovarono spazio e sbocco, variamente, le diverse culture politiche dell’antifascismo. Oggi le forze politiche che si richiamano alla democrazia costituzionale dovrebbero riconoscere la comunanza e la priorità intangibile dei valori repubblicani, impegnandosi a rispettarli, al di sopra delle differenze politiche che sono inevitabili e necessarie nel sistema democratico.

Cosa significa oggi quella “data di liberazione” e cosa significa per il futuro di questo Paese?

Il 25 aprile è e resterà la festa che ci ricorda il vero significato storico della Liberazione: il moto di un popolo che insorge nella lotta dei suoi figli migliori, che si riscatta dalla sconfitta che il fascismo aveva inflitto all’Italia, che rifonda ex novo la propria democrazia. Senza il 25 aprile non ci sarebbe stato il 2 giugno, la nascita della Repubblica. Sono due date e due feste indissolubilmente collegate e tali resteranno nonostante i filo-fascisti non rassegnati. Almeno finché l’Italia sarà una Repubblica e una democrazia e finché gli italiani sapranno vigilare su tali presupposti.

Tra un po’ voteremo per l’Europa. Si può dire che la memoria e il ricordo delle tragedie e degli errori del passato – regime fascista e nazista – e degli sforzi fatti per superarli, attraverso la Resistenza e insieme agli Alleati europei, americani, russi, sono invece una base fondamentale e indispensabile?

La Costruzione dell’unità europea è avvenuta con molti errori: primo fra tutti, la torsione economica e finanziaria che ha umiliato i diritti sociali e lo stesso esercizio della democrazia, favorendo la rinascita di nazionalisti di stampo populista e il corollario disgustoso di gruppi neonazisti che esaltano il suprematismo bianco, l’antisemitismo e l’islamofobia. Occorre ricordare che gli ideali della Resistenza europea non riguardavano soltanto un’astratta libertà, ma piuttosto il rispetto e lo sviluppo dei diritti sociali e politici, calpestati dal nazifascismo. Si sognava una società migliore, senza discriminazioni, di uguali opportunità per tutti. L’Europa doveva essere un esempio di libertà e uguaglianza, di fratellanza fra popoli, doveva mettere a disposizione le sue risorse e la sua ricchezza, senza chiudersi nei confini come oggi si vuole e purtroppo si sta facendo.

Voteremo anche per il governo della nostra città: cosa consigliate o proponente al futuro sindaco per tenere ben vivi e saldi i valori dell’antifascismo rispetto alle discriminazioni, all’accoglienza, alla solidarietà, alla partecipazione e alla democrazia?

C’è da augurarsi che la prossima amministrazione comunale confermi il percorso virtuoso di memoria storica iniziato e consolidato ormai da parecchi anni; percorso che è valso alla città di Bari la medaglia d’oro al valor civile per gli atti del 1943, compiuti durante la lotta al nazifascismo. Il recupero della storia antifascista dei luoghi della città deve diventare sempre più un patrimonio della memoria pubblica, delle scuole e dell’Università. È importante il contributo che danno le associazioni e le forze civiche organizzate, fra cui l’Anpi e il Coordinamento antifascista, ma resta fondamentale il ruolo della principale istituzione democratica di cui la città dispone: il Comune. L’antifascismo, inoltre, non solo è memoria, ma impegno di solidarietà contro le discriminazioni, è soprattutto e decisamente antirazzismo. E in questo senso ci aspettiamo un segnale forte dal voto democratico di Bari.

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