
a cura di: Antonio Garofalo
fotografia Roberta Giordano
Il varo dell’autonomia differenziata avvenuto lo scorso primo febbraio, con il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri (su proposta del ministro Roberto Calderoli), è cosa fatta. Nel pieno silenzio del Parlamento.
Quale coscienza critica, civile, politica, sociale e quanto la forza dei partiti, dei sindacati, delle associazioni di categoria e dei cittadini contrari a tale riforma, potrà tenere unito il Paese per respingere quella che è definita come la “secessione dei ricchi” o un “progetto fumoso” contro l’identità territoriale?
Il motivo di un incontro sull’autonomia differenziata, tra i tanti, sta tutto nel provare a dare almeno qualche risposta a uno di questi interrogativi.
È quanto è stato realizzato ieri sera, nell’incontro pubblico, dal titolo “Autonomia differenziata: è un bene per il paese?”.
Evento promosso dalla Scuola di formazione alla cittadinanza attiva Libertiamoci, con l’adesione delle altre associazioni: “Periplo”, “L.U.C.A.” (Libera Università Cittadinanza Attiva), “Comitato della pace di Bari”, “Officine della Legalità”, “Anchenoi movimento di cittadinanza attiva”.
I relatori, prof. Nicola Colaianni (giurista, costituzionalista) e il dott. Lino Patruno (giornalista, saggista, docente). La diversa “estrazione” culturale di entrambi giuridica del primo e storica del secondo (peraltro autore di un libro, pubblicato recentemente “Imparate dal Sud” Ed. Magenes), ha creato le basi per poter dare ai diversi fili tematici la giusta e corretta collocazione dell’argomento.
Il tema infatti non è squisitamente politico, ma giuridico, sociale, economico, geografico e altro.
Il prof. Colaianni ha sottolineato, nella parte introduttiva del suo intervento, di come l’autonomia differenziata di per sé non è una lacerazione per il Paese, anzi. Fu prevista dagli stessi costituenti, per le due isole e le regioni di confine con consistenti minoranze linguistiche.
La riforma del 2001 (del Titolo V della Costituzione) ha previsto la possibilità di estenderla anche alle Regioni ordinarie previa intesa con lo
Stato. Ma “nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119”. Cioè l’istituzione di un “fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e la destinazione di “risorse aggiuntive” per interventi speciali. È evidente che se le Regioni non sono allineate sul nastro di partenza, quanto a spesa pro capite e a numero di prestazioni per diritti sociali, il rafforzamento dell’autonomia di alcune di esse non farebbe che aumentare il divario già esistente. Il regionalismo differenziato non potrà mai ridurre le diseguaglianze, perché renderà le Regioni del Centro-Sud — che avranno sempre meno risorse per riqualificare i loro servizi — clienti dei servizi prodotti dalle Regioni del Nord” (Report Gimbe). Ciò vale non soltanto per la sanità. Non a caso i costituenti avevano previsto contributi speciali “particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le isole”. Ma la norma fu cancellata dalla riforma del 2001, anche se poi reintrodotta l’anno scorso, con un’altra modifica costituzionale a favore delle isole ma non pure del Mezzogiorno. Per evitare una sterile contrapposizione Nord-Sud, tuttavia, va rilevato che ogni Regione estranea all’intesa rischia di essere danneggiata, nello stesso Nord, e comunque va tutelato l’interesse nazionale.

Il Dott. Lino Patruno, citando il suo recente libro “Imparate dal Sud, lezione di sviluppo all’Italia” ha detto che il Mezzogiorno è conosciuto per i soliti luoghi comuni Sud piagnone, poco produttivo, palla al piede, gente pigra, poco attiva, non interessata al progresso e all’integrazione col resto del Paese. Il nuovo governo dice che il Sud è in testa ai suoi progetti, ma poi approva l’autonomia differenziata per le tre Regioni più ricche del Paese che accentuerebbe in maniera definitiva il divario.
E invece, a suo avviso il Sud al quale fare giustizia è quello con un livello di servizi e di infrastrutture al pari del resto del Paese. Un Sud per il quale finora è stata violata la Costituzione secondo cui non deve esserci differenza di trattamento a seconda di dove nasci. Il Sud deve poter ripartire a parità di condizioni. Solo allora si potrebbe giudicarlo. Ma non si può iniziare sempre la partita da zero a due come finora.
“Fare il più col meno” Perché il Sud riesce a fare il più col meno. Riesce “nonostante tutto”. Il mio libro (chiede scusa per l’autocitazione) è un sorprendente viaggio in un Sud che non si conosce perché finora raccontato con pregiudizio. Bisogna imparare da questo Sud come si faccia senza i mezzi a disposizione degli altri. E figuriamoci se questi mezzi li avesse come gli spettano. Il Sud farebbe diventare l’Italia una Francia o una Germania.
È ciò che non si riesce a comprendere. Un esempio anche per parlare nel merito dell’autonomia differenziata e in particolare dei “paletti” che dovrebbero contenerla, i cosiddetti l.e.p. (livelli essenziali di prestazioni).
È stata nominata una commissione di “tecnici” (professori universitari, economisti, esperti ambientali, ecc.) per individuarli. Sarebbe stato invece più corretto definire senza nessun dubbio i l.u.p. ossia i livelli uniformi delle prestazioni, per far allineare tutti i territori alla stessa situazione. E invece così infine, si arriverà a creare i l.i.p. ovvero i livelli inutili di prestazioni.
Questi in sintesi gli interventi dei relatori ai quali è seguito un dibattito, più che interessante da parte dei partecipanti presenti. Si cita in particolare l’intervento del Dott. Moscara di Periplo, il quale ha sottolineato in modo preoccupato che se per i cittadini, soprattutto quelli del sud sarà sicuramente una riforma negativa in termini di uguaglianza, ancor più grave sarà per chi come gli immigrati chiede al nostro Stato accoglienza e integrazione soprattutto attraverso condizioni di vita e lavoro migliorative.
Ha concluso l’incontro l’intervento il Dott. Vanni De Giosa della Libera Università di Cittadinanza Attiva (L.U.C.A.) augurandosi che in nome dei diritti civili e sociali che tale riforma cerca in ultima analisi di cambiare, nel modo peraltro più iniquo, l’opinione pubblica e associativa, le cittadine e i cittadini tutti possano trovare slancio per opporsi e dar voce a un sentimento di interesse e unità nazionale.
È stato ricordato inoltre che qualcosa per opporci possiamo fare anche noi. Firmando un’apposita proposta di legge di iniziativa popolare (si può farlo anche online con lo Spid collegandosi al sito web (www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it).
Su tale sito curato dal prof. Massimo Villone costituzionalista sono precisati motivi e approfondimenti del perché l’autonomia differenziata così come pensata, appunto non è un bene per il nostro Paese.