Dobbiamo salvare le nostre aree selvagge. Non possiamo sopravvivere senza esse.

Articolo originale web link: https://www.weforum.org/agenda/2019/01/why-should-you-care-about-wild-places/

Traduzione di Teresa Scolamacchia
foto tratta dall’articolo originale

Le zone selvagge e le creature che le popolano, ci arricchiscono in modi che possono essere sorprenderti!

Stiamo spazzando via le altre forme di vita sulla Terra mille volte più velocemente rispetto al tasso di estinzione naturale e stiamo rimpiazzando tale biodiversità con la produzione di cibo ed altre attività umane.

Metà della superficie terrestre abitabile è stata trasformata per nutrirci. Sono scomparse le foreste e i pascoli iniziali che solevano arricchire quei suoli. Prendendo in considerazione tutti i mammiferi terrestri, al giorno d’oggi, solo il 4% è selvatico; il resto è dato da bestiame ed esseri  umani. Nel secolo scorso abbiamo impoverito anche la vita negli oceani, il 90% di grandi pesci compresi squali, tonni e merluzzi sono scomparsi.

Se continuiamo così, fra un po’, gli unici grandi animali rimasti sul pianeta saremo noi, i nostri animali domestici e il nostro cibo; e le grandi comunità vegetali non saranno più foreste, zone umide o praterie, bensì monocolture simili al Midwest Americano. Alcuni sognano di trasformare “Marte nella Terra”; invece stiamo “riducendo la Terra come Marte”.

É una buona idea mercificare il pianeta e sostituire i luoghi selvaggi con quelli domestici? Possiamo vivere senza spazi selvaggi? Perché dovrebbe interessarci?

L’ossigeno che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, dipendono tutti da altre forme di vita. Senza il resto delle specie sul pianeta, non ci potrebbe essere ricchezza, né economia e tantomeno noi stessi.

Non solo abbiamo dato per scontato tutte queste specie e i beni e i servizi che da loro otteniamo, ma abbiamo distrutto i loro habitat e le loro famiglie ad un costo altissimo per loro e per noi.

Scienziati come E.O. Wilson, ci hanno detto che abbiamo bisogno di mantenere la metà del pianeta in uno stato naturale, con ecosistemi che funzionano e continuano a garantire la nostra sopravvivenza. Per esempio, non possiamo raggiungere il target previsto dagli accordi di Parigi (non superare i 2°C di aumento della temperatura atmosferica rispetto ai livelli pre-industriali) senza ecosistemi intatti –le nostre foreste, le praterie, gli habitat degli oceani– che assorbono la maggior quantità del surplus di inquinamento da carbonio che immettiamo in atmosfera.

Più aree protette con una biodiversità fiorente non solo vanno mano a mano con la mitigazione del cambio climatico, ma sono anche richieste per correggere le nostre scelte devastanti. La natura è il nostro più grande amico e alleato, non il nostro nemico.

C’è un consenso crescente fra scienziati e gruppi di conservazione, sulla necessità di proteggere il 30% del pianeta in una maniera più formale e misurabile per il 2030, prima di perderla. Alcuni paesi capofila hanno già fatto la loro parte, come il Bhutan (70% del paese è foresta), il Cile (quasi la metà delle sue acque marine sono protette), Palau (80% delle sue aree marine sono protette) e il Regno Unito (quasi metà delle sue aree marine sono protette).

Questi leader, nei loro studi e sul campo, sanno che l’ecologia alimenta l’economia e costerà molto di più cercare di produrre ciò che la natura ci dà gratis. Nel frattempo, tecnologie all’avanguardia, incluse rilevazioni da satellite, ci stanno permettendo di monitorare le attività sulla Terra come mai prima d’ora.

La domanda che sorge spesso è come possiamo preservare maggiormente le foreste e gli oceani, con una popolazione umana in crescita? Abbiamo bisogno di sfamare 10 miliardi di persone! Tuttavia gli studi mostrano che la nostra agricoltura può già nutrire 10 miliardi di persone.

Il problema è che sprechiamo un terzo della produzione nella catena di distribuzione, dal campo alla tavola. Potremmo nutrire l’intera popolazione umana modificando la dieta (mangiando meno carne rossa e più vegetali), riformando i sussidi della pesca e l’allevamento e prevedendo una più intelligente agricoltura rigenerativa, con meno sprechi, che aiutino a rigenerare il suolo invece di buttarlo via ogni volta che piove.

Le nostre compagnie – la National Geographic Society e Dynamic Planet – si sono unite con la Wyss Campaign for Nature ed altri partner chiave nel mondo, che includono il Young Global Leaders del World Economic Forum, dando vita ad una campagna di due anni per aiutare a raggiungere il 30% della protezione delle aree naturali entro il 2030, come target principale della Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite.

Gli ecosistemi in buona salute –in aree protette o gestite in maniera tradizionale da comunità locali e popolazioni indigene– sono la chiave anche per la nostra economia. Ad esempio, i disastri naturali causati dal degrado di ecosistemi e cambio climatico sono già costati al mondo più di $300 miliardi all’anno e tale numero è destinato a crescere. In una conferenza, qualche anno fa, abbiamo ascoltato un manager di una famosa compagnia di assicurazioni dire che un aumento di 2°C non può essere oggetto di assicurazione e che un aumento di 3°C non è oggetto di investimento.

Ma c’è di più nella natura che il suo valore strumentale.

Pur essendo come metà della popolazione mondiale che vive in città, se sei stato vicino all’oceano, in una foresta o in prossimità di un lago, conosci la sensazione di essere intrinsecamente connesso al resto della vita sul nostro pianeta. Ci ristora, ci calma, ci diverte e ci ispira. Quanto è meraviglioso che esistano milioni di altre forme di vita che aspettano solo di essere scoperte? Non necessariamente ci ringrazieranno per mantenerle lì e lasciarle fare il loro lavoro, ma noi potremmo decisamente ringraziarle perché non potremmo essere qui senza loro.

L’articolo originale è parte del:  World Economic Forum Annual Meeting

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